Diciotto giorni senza luce e acqua calda. In piena emergenza coronavirus, il Comune di Riace non si è fatto alcuno scrupolo a staccare la corrente elettrica a una donna con due figli minorenni. “Non potevamo uscire da casa perché avremmo violato l’ordinanza anti-coronavirus. Ma non potevamo nemmeno restare dentro perché dall’11 al 28 marzo abbiamo vissuto senza luce”. La storia, paradossale, è quella di Lucia Catalano, 36 anni, una vita complicata alle spalle, un lavoro precario e due figli minorenni da mantenere. Per adesso, a stento, c’è riuscita grazie all’aiuto del Comune di Riace che, cinque anni fa quando era sindaco Mimmo Lucano, gli aveva assegnato una casa popolare per la quale l’amministrazione si faceva carico anche del pagamento delle bollette. Nella Riace a trazione leghista del sindaco Tonino Trifoli, invece, l’amministrazione comunale ha chiesto a Lucia di stipulare un contratto per la fornitura dell’energia elettrica e intestarsi l’utenza.
Con 500 euro al mese, che fino a poco tempo fa guadagnava facendo la badante a un’anziana, le spese per vivere e quelle per mantenere a scuola un figlio di 17 anni e una figlia di 14, Lucia non ce l’ha fatta e così l’11 marzo il Comune ha staccato la luce alla sua abitazione per poi ripristinarla il 28 marzo quando la ragazza ha scritto una lettera indirizzata agli uffici comunali e anche alla stazione dei carabinieri. Il dato certo, infatti, è che nonostante l’Autorità per l’Energia in piena emergenza coronavirus ha disposto il divieto di distacco per morosità, senza nemmeno un preavviso, una madre e due figli minorenni per 18 giorni hanno vissuto senza luce, senza acqua calda e senza riscaldamento. “A me non è arrivato nessun avviso di pagamento – spiega Lucia – E comunque le persone bisognose hanno il diritto di essere aiutate. Quando c’era l’ex sindaco queste cose non succedevano. Lui aiutava anche le pietre che trovava in strada. La verità è che io ho sostenuto Lucano alle ultime elezioni ed è per questo che il Comune non mi vuole più aiutare. Si devono vergognare”.
La vicenda è finita, quindi, su alcuni giornali e siti locali e l’amministrazione Trifoli ha fatto un passo indietro. Intervistato dal Corriere della Calabria, per il sindaco “il caso non esiste”. Pur sapendo che la sua amministrazione ha chiesto a Lucia di stipulare un contratto con l’Enel, Trifoli rivendica la correttezza del suo operato: “A noi non risulta nemmeno che la donna fosse residente in quella casa. Stiamo ricostruendo tutta la documentazione. Non abbiamo trovato nessun atto ufficiale da cui emerga che lei sia assegnataria”. Trifoli è ossessionato dal suo predecessore e minaccia di rivolgersi alla magistratura: “Forse l’alloggio è stato assegnato dal sindaco Lucano in via informale. Ricostruiremo l’iter e poi eventualmente presenteremo una denuncia in Procura, a tutela anche della signora, perché lei ritiene di essere legittima assegnataria e forse invece non è stato così”.
Le carte del suo stesso Comune lo smentiscono. L’alloggio, infatti, è stato assegnato a Lucia Catalano e ai suoi figli con un provvedimento notificato e protocollato il 10 marzo 2015. Sfruttando la legge 32 del 1996 sull’emergenza abitativa di persone in situazioni di bisogno, infatti, l’assegnazione è stata decisa dall’ex sindaco Lucano che ha redatto il provvedimento solo dopo aver letto le relazioni dei servizi sociali del distretto sanitario della Locride. “Non rispondo nemmeno alle polemiche che subdolamente fa il sindaco Trifoli – dice Lucano – Prima delle procedure vengono gli esseri umani. Nel caso di Lucia è stata rispettata la persona in difficoltà e la legge. È inutile che Trifoli cercare di pescare nel torbido. La verità è che aver lasciato per 18 giorni una donna disoccupata e due figli minori al buio è stato certamente l’atto più grave di quest’amministrazione. Si tratta di una violazione dei diritti umani che il Comune di Riace ha commesso ai danni di una persona debole”.