“Il bisogno di liquidità sarà già tra qualche settimana una emergenza, come lo sono oggi ossigeno e terapia intensiva. Il rischio è che capitali di provenienza illecita comincino a circolare indisturbati tra imprese e consumatori. Per non lasciare campo libero ai flussi finanziari di oscura provenienza, dovrà cadere anche il divieto di aiuti di Stato”. Lo scriveva il 21 marzo, la giornata contro le mafie, l’eurodeputato Pd Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia dopo aver guidato la Dda di Napoli e la procura di Salerno.
L’allarme di Roberti anticipava di più di una settimana la nota della Direzione centrale anticrimine della polizia che denuncia per i prossimi mesi il pericolo concreto di infiltrazioni delle mafie nelle aziende in crisi. Uno degli effetti collaterali dell’emergenza Covid-19. Uno dei più gravi. Roberti fu il giudice istruttore di Sant’Angelo dei Lombardi titolare della primissima inchiesta sulla ricostruzione in Campania dopo il devastante terremoto del 1980. “Potrebbe ripetersi quel che successe allora: le mafie che si accaparrano appalti concessi con gli scarsi controlli dei tempi di emergenza”.
Roberti, le mafie preferiranno prestare soldi alle imprese in difficoltà o proveranno a subentrare direttamente nella loro gestione?
Al termine del lockdown gli sbocchi naturali dei capitali mafiosi sono quelli: sostegno alle imprese, credito al consumo, usura. Sbocchi infiniti sia sul versante delle famiglie che delle aziende. La dinamica tradizionale è il prestito all’imprenditore, e il successivo subentro quando questi non è in grado di restituire. Ma vista l’eccezionalità e la gravità dell’emergenza, stavolta il mafioso potrebbe entrare subito nel controllo dell’azienda attraverso dei prestanomi.
Che definizione darebbe dell’emergenza economica in corso?
“Siamo in un’economia di guerra. Simile all’economia post terremoto del 1980: appalti concessi senza andare tanto per il sottile con la scusa di fare subito quello di cui c’era bisogno. Figuriamoci ora: imprese in ginocchio, fornitori non pagati, operai senza stipendi. Nelle economie di guerra crollano anche i controlli e le mafie potrebbero approfittarne. Le norme vanno sburocratizzate, ci sono complessità che penalizzano anche gli imprenditori onesti. Ma senza attenuare i controlli, lasciandoli in capo a persone che hanno competenze e senso di responsabilità”.
La camorra a Napoli – come scrive il Mattino – sta regalando pasta, pane e generi di prima necessità alle famiglie in difficoltà. C’è una strategia dietro questa generosità?
La camorra è sistema, è promozione di un percorso di vita. Che ti segue dalla culla alla morte. La solidarietà, lo stare vicini alla gente, è sempre stata una caratteristica dei clan campani. E stavolta può essere funzionale a creare proselitismo e complicità con il settore economico-imprenditoriale.
C’è una peculiarità della camorra rispetto alle altre mafie? E nel suo modo di incidere nell’economia locale?
Dal secondo dopoguerra ad oggi a Napoli coesistono due mercati: uno legale e uno sommerso, illegale. Sono di pari dimensioni, forse è più grande quello illegale. Una “bomba sociale” lasciata decantare con cinico opportunismo. Tollerata per consentire il mantenimento dell’ordine pubblico e la sopravvivenza di intere fasce di popolazione, altrimenti destinate a scomparire per mancanza di lavoro legale. La tragedia che stiamo vivendo è forse l’ultima occasione per dimostrare che lo Stato, quando vuole, sa essere più forte della camorra. Non basterà di certo la sola repressione.
Conte e il governo stanno facendo abbastanza per le famiglie e le imprese?
Niente è abbastanza. Stanno facendo quel che possono e che continueranno sicuramente a fare.
Lei è eurodeputato e quindi segue da vicino i rapporti tra Italia e Unione Europea. E’ sufficiente aver fatto cadere il divieto degli aiuti di stato? La direzione giusta è quella dei coronabond?
Non basterà, non basteranno. Ci vuole uno sforzo finanziario colossale. L’Italia, col suo debito pubblico già enorme, che aumenterà a dismisura, da sola può fare poco. Ci vorrà l’Europa. Ci darà quello di cui abbiamo bisogno? Non lo sappiamo, ed è questo il grande interrogativo sul quale si gioca il futuro dell’Unione Europea.