Ho letto che lavora in smart working. Lei cosa pensa della strategia dello stare tutti casa?
Bisogna stare a casa salvo uscire per le cose fondamentali cibo e medicine. È ancora troppo presto per il resto, siamo ancora nella necessità di stare a casa il più possibile, di ripararci. Poi verrà il momento, ma non ci sarà mai il momento in cui si va tutti in piazza a festeggiare la fine dell’epidemia. Sarà tutto molto graduale. E anche qui c’è un altro problema: bisognerà pensare per tempo, non deve valere l’approssimazione. Abbiamo ancora un mese prima che si cominci a poter pensare di liberare qualcosa e chi. Dobbiamo pensarlo ora per fare le cose giuste

In quanto tempo ritorneremo alla vita prima? Sei mesi? Un anno?
Non sarà più come prima. Ci saranno certamente molte cose che cambieranno. Tutti i grandi ammassamenti di persone non saranno più possibili. Bisogna pensare per esempio in uno stadio di calcio, 60mila persone, se c’è in ballo qualcosa che non conosciamo insomma… Bisognerà diminuire le possibilità di contagio, far diventare le regole igieniche regole generali

Uno scenario pessimista perché pensa che il virus non sarà sconfitto?
Lo scenario non è pessimista, ma bisogna rimettere in corso dei valori che sono stati dimenticati. Io sono ottimista, ma penso che abbiamo bisogno di una società migliore nel caso in cui arrivino altre emergenze di questo tipo o di altro tipo e che in questo momento non possiamo neanche immaginare. Saremo certamente più pronti e meno improvvisatori. Un altro dei cambiamenti che dovrebbe avvenire è che non possiamo contare su chi, per quanta abbia buona volontà non voglio offendere nessuno, alla fine ha necessità di profit. Basta vedere cosa paghiamo le mascherine Bisogna ripensare anche a tutto il mercato della medicina inserendo delle forti componenti non profit. Bisogna che se ne occupi lo Stato

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