di Gruppo Urbanistica perUnaltracittà

Chiude, nella Firenze disertata dai globe trotters, la città “fabbrica del turismo”. La crisi sanitaria mondiale svela così la miopia di amministratori che hanno incoraggiato la monocoltura economica all’insegna del turismo, scelta confermata dal Piano regolatore appena avviato. Un bilancio delle politiche urbanistiche del primo quinquennio della Giunta Nardella mette in evidenza non solo la scarsa lungimiranza dimostrata, ma anche quanto il perseverare nella stessa direzione possa dimostrarsi diabolico.

Il futuro “Piano Operativo” sostituirà un “Regolamento Urbanistico” (2015) le cui scelte, che rischiano di facilitare la speculazione sugli edifici storico-monumentali, abbiamo già criticato sul nostro giornale. Nelle scorse settimane, il Comune ha tuttavia dichiarato che il nuovo strumento urbanistico si porrà in sostanziale continuità col precedente, che, a giudizio di Palazzo Vecchio, avrebbe dato buoni frutti.

A fronte di tali dichiarazioni, abbiamo analizzato gli effetti delle politiche urbanistiche del primo mandato Nardella. I risultati mostrano una città immolata all’industria turistica, dove la rendita immobiliare è massimizzata, forte del brand Firenze.

Per brevità prenderemo qui in considerazione la sola città storica (Area Unesco).

L’analisi delle “Aree di trasformazione” del centro storico (UTOE 12) mostra che le variazioni hanno privilegiato le funzioni collegate allo sfruttamento turistico della città. Si noti che la metà (48,2%) della superficie in trasformazione nel settore preso in esame si riferisce a proprietà pubbliche alienate (94.232 mq), tra cui caserme, ospedali militari e altro. Edifici che – già pubblici – sono stati venduti grazie alla promozione “Invest in Florence” sostenuta dallo stesso sindaco presso le fiere dell’immobiliare.

Un terzo delle superfici in trasformazione (30,48%) è nel segno dell’uso residenziale di lusso, come mostra il dato disaggregato: la quasi totalità (86,8%) ha infatti caratteristiche esclusive – suite e luxury apartments – riscontrabili sia nei progetti depositati in Comune, sia nelle dichiarazioni di progettisti e investitori.

La destinazione ad uso turistico-ricettivo è pari a circa un quarto del totale delle trasformazioni (23,99%): 46.875,20 mq, più di nove campi da calcio. Una cura da cavallo per una delle città storiche, al mondo, più sature di alberghi.

Oltre un terzo (36,48%) interessa le attività direzionali, tra le quali rientrano gli ingombranti studentati (Student Hotel inclusi) che Nardella ha eletto a elementi centrali della “riqualificazione” urbana.

Dal 2015, nell’area Unesco, i cambiamenti di destinazione d’uso realizzati in via ordinaria, sono stati orientati prioritariamente verso il settore turistico-alberghiero (+774%) e residenziale (+430%; attenzione però: nella “residenza”, il regolamento comunale comprende anche b&b, case vacanze e simili). A picco invece le superfici destinate all’artigianato: -99,97%.

Poca o nulla l’edilizia residenziale per le fasce deboli: il vincolo gravante sulla superficie “rigenerata”, pari al 20% da destinarsi a social housing, è vanificato dalla sua monetizzazione (cfr. § 4.6.4, p. 69). Elevata invece l’incidenza dei frazionamenti per ricavare piccoli appartamenti, ideali per l’affitto breve: su 100 progetti presentati, le unità abitative sono più che raddoppiate: +252,60%.

Se il “nuovo” sarà in continuità con il “vecchio”, il redigendo Piano Operativo disegna uno scenario inquietante dove il ruolo di protagonista è già in mano alla proprietà immobiliare.

Tramite l’ “Avviso pubblico” i proprietari di volumi dismessi sono infatti chiamati a segnalare «la necessità di modifica della destinazione d’uso»: ciò nell’ottica di «partecipare l’avvio [sic] di un nuovo strumento di pianificazione» (cfr. p. 8 e 104). Ovvero, di partecipare – loro sì – alla stesura delle regole di trasformazione.

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