Gestire l’epidemia da Covid-19 fuori dagli ospedali. Come? Requisendo alberghi. E facendo diventare Roma ‘una piccola Corea’. Nonostante i numeri tutto sommato contenuti, il sistema sanitario del Lazio potrebbe non reggere a lungo il lento, ma inesorabile, aumento dei contagi da coronavirus nella regione. Il dipartimento Sanità, alcuni giorni fa, ha comunicato il piano per arrivare a 2000 posti letto per degenti ordinari e 450 in terapia intensiva in giro per gli ospedali del territorio, ma solo il 60% di questi sono già disponibili. Il problema è che, mentre ci si appresta a varcare la soglia dei 3000 casi, nel Lazio sono stati abbondantemente superati i 1000 ricoveri ordinari e si va verso i 150 in terapia intensiva. Tutto ciò, considerando l’assistenza domiciliare dei positivi a oggi conta oltre 1300 persone. Insomma, è una corsa contro il tempo. A questi numeri, vanno aggiunte le numerose storie di persone con sintomi o di familiari di malati – e a volte anche di deceduti – ai quali non viene fatto il tampone, semplicemente perché non si riesce a farli a tutti. Gente bloccata a casa, insieme ai familiari e a coinquilini, senza possibilità di ricevere un’assistenza medica minima. O con malattie croniche, che rischiano di aggravarsi, aumentando così il bilancio dei decessi. Per non parlare del personale sanitario, che continua ad ammalarsi: 132 medici positivi nel Lazio, almeno altrettanti infermieri, e il primo deceduto, Roberto Mileti, ginecologo romano di 60 anni impegnato alla Clinica San Marco di Latina.

Almeno 15 alberghi da requisire per un mese – Questa, che piaccia o no, è la fotografia di Roma e del Lazio. Ed è la ratio che lunedì ha portato il direttore del servizio di igiene e sanità pubblica della Asl Roma 1, Enrico Di Rosa, a parlare di un progetto perché la Capitale arrivi ad essere “una piccola Corea”, dove “i casi vengono strettamente individuati e gestiti fino alla fine dell’emergenza”. Come? Proprio attraverso gli hotel, vuoti per lo stop al turismo. “Arriveremo alla situazione per cui la persona che ha anche solo un sintomo e che non ha fatto il tampone, o che deve fare il tampone, sarà monitorata dentro a queste strutture”, ha spiegato in conferenza stampa l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato. La Regione Lazio ha firmato un protocollo d’intesa con l’ordine dei medici e con Federalberghi per il reperimento delle strutture, nel tentativo di arrivare subito a 3000 posti letto. Le strutture messe a disposizione saranno tutte con almeno 150 camere a disposizione, per non rischiare di spalmare l’emergenza su troppi fronti. La convenzione durerà almeno 30 giorni, “facilmente rinnovabili”. Il primo è stato l’hotel Marriott Courtyard di Monte Mario, a due passi dal Policlinico Gemelli e dal Covid hospital della Columbus, struttura da 161 posti letto che accoglierà le persone dimesse che devono completare il percorso di guarigione. “Pazienti post acuti a bassa intensità di cura”, come si dice in gergo.

Costi per la Regione e aiuti indiretti al settore alberghiero – Un’operazione che avrà un costo, inevitabile, per le casse pubbliche. L’hotel Marriott, ad esempio, che ha stipulato la convenzione direttamente con il Policlinico Gemelli, otterrà un rimborso di 110 euro al giorno a paziente. Il che significa circa 530.000 euro per un mese a struttura piena. Per gli altri alberghi non sarà così. Il costo, a quanto trapela da fonti della Regione Lazio, sarà di circa 45 euro al giorno a paziente, il che significa circa 4 milioni di euro per i 3000 posti letto messi a disposizione, solo a titolo di “rimborso”. “Si può interpretare come una sorta di aiuto reciproco”, spiega a Ilfattoquotidiano.it il presidente di Federalberghi Roma, Giuseppe Roscioli. “Molte strutture saranno sicuramente vuote per tutto aprile – prosegue – la Regione aveva bisogno di posti letto reperibili subito e con pochi lavori da fare. Ovvio che ci sia da metterci un po’ mano, gli alberghi non sono ospedali”. Una ricetta che, più o meno silenziosamente, fa storcere il naso al resto della politica. Da quasi un mese, ad esempio, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, spingeva per la realizzazione di un ospedale ex-novo sul modello di quello realizzato in 10 giorni alla Fiera di Milano. Ne avrebbe parlato anche con Enrico Pazzali, che oltre a essere presidente della Fondazione che gestisce lo spazio nel capoluogo lombardo, e’ anche presidente di Eur Spa.

Medici e infermieri infetti. Il caso del Nomentana Hospital – Il piano “piccola Corea” è stato avallato anche dall’Ordine dei medici del Lazio. “A gestire le persone che verranno ospitate negli alberghi saranno delle equipe delle Asl”, spiega il presidente dell’ordine, Antonio Magi. “Un ruolo ce l’avranno anche i medici di famiglia – aggiunge – bisogna ‘deospedalizzare’ la crisi”. Secondo Magi, “Roma deve imparare da quello che è accaduto al nord, dove gli ospedali si sono trasformati in veicolo di contagio”. Anche nella Capitale però è stato così e, in parte, lo è tuttora. Ai numeri dei medici laziali contagiati, ben 132, si aggiungono casi limite, come quello del Nomentana Hospital, nel comune di Fonte Nuova (alle porte di Roma) dove ai 4 sanitari già positivi, nella giornata di martedì se ne sono aggiunti altri 6, dopo l’arrivo dei 49 anziani infetti provenienti dalla vicina cittadina cluster di Nerola. Il presidente della struttura, Desiderata Berloco, ha scritto al governatore Nicola Zingaretti, chiedendo “l’immediata ricollocazione di tutti i pazienti positivi” oltre a fornire i materiali di protezione individuale “che ci erano stati formalmente promessi al momento dell’imposizione del ricovero dei pazienti”.

Cliniche private all’incasso, ma il personale finisce in cassa integrazione – Al momento, infatti, la tenuta del sistema ospedaliero laziale si basa sulle cliniche private, che rappresentano il 40% delle strutture inserite nel circuito sanitario regionale. I tagli dovuti al piano di rientro lacrime e sangue con cui il Lazio ha avuto a che fare negli ultimi 10 anni si sentono tutti: ben 16 ospedali chiusi, 3.600 posti letto perduti e il 14% del personale uscito senza turn-over. Il risultato è che delle 26 strutture fin qui adibite dalla Regione Lazio con reparti Covid, solo 15 sono pubbliche, mentre 10 sono private (7 di natura religiosa) e una, l’ospedale Celio, militare. A queste strutture, secondo quanto ricostruito, andrà fornito un rimborso che si aggira intorno ai 150-200 euro al giorno a paziente. Anche alla clinica cardiologica Casal Palocco, requisita e attrezzata con 98 posti (30 letti di terapia intensiva, 18 di sub-intensiva e 50 ordinari) con personale medico fornito dall’istituto Spallanzani. La struttura, fuori dal circuito delle cliniche convenzionate, andava verso la dismissione e appartiene al gruppo emiliano Gmv di Ettore Sansavini, che ha Roma gestisce anche il San Carlo di Nancy, acquistato dallo Stato Vaticano. Se il prezzario corrisponde a quello illustrato dal dg del Policlinico Gemelli, Marco Elefanti, per la requisizione del Marriott, ci troviamo di fronte a una spesa orientativa di 2,6 milioni di euro per 6 mesi. Non è tutto. Perché durante una recente riunione fra i vertici della Regione Lazio e quelli dell’Aiop Lazio (associazione delle cliniche private), si è pianificata anche l’eventualità di spostare i degenti ordinari non Covid nelle strutture accreditate – che lamentano bruschi cali di incassi dovuti allo stop degli ambulatori – per fa spazio agli infetti. “Nonostante questo, la sanità privata sta ricorrendo agli ammortizzatori sociali”, denuncia Roberto Chierchia, segretario della Cisl Fp Lazio.

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