di Carblogger
Mario Draghi è diventato il grillo parlante dell’Europa. Dalla guest column del Financial Times nello stesso giorno del Consiglio europeo – strumento e tempismo perfetti per lo scopo – l’ex governatore della Bce ha battuto un colpo deflagrante: a causa del coronavirus, i governi dovranno abituarsi a gestire debiti pubblici più alti e prevedere la cancellazione del debito privato. Cose da fare in fretta.
Se applicassimo la ricetta di Draghi allo scenario che si intravede per l’industria dell’auto, la proiezione potrebbe avere una valenza mai vista per il settore, che – come tutti – vive nella paura della non conoscenza su quando finiranno gli effetti della pandemia, e cosa resterà in piedi.
La Grande Depressione del 1929 – cominciata a Wall Street di giovedì 24, per coincidenza lo stesso giorno della settimana usato da Draghi – spazzò via tante vite e nell’auto americana tanti piccoli marchi, ma non fece fallire le tre big di Detroit che anzi rafforzarono la loro quota di mercato. Dalla Grande depressione, è noto, si uscì definitamente con la Seconda guerra mondiale.
Nella grande crisi finanziaria del 2008-2009, nonostante il candidato repubblicano alla Casa Bianca Mitt Romney e uomo del Michigan avesse detto “lasciamo andare in bancarotta Detroit”, l’industria dell’auto americana fu salvata con 85 miliardi di dollari di aiuti pubblici in finanziamenti e altre agevolazioni. Non regali: un giorno Sergio Marchionne, che restituì il prestito con sei anni di anticipo, lamentò in pubblico che il denaro federale ricevuto per salvare Chrysler (e Fiat) avesse avuto tassi troppi alti.
Fu un salvataggio con morti e feriti, che purtroppo non mancheranno mai: negli Usa chiusero 14 fabbriche e circa 2.000 dealer, travolgendo migliaia di famiglie ma garantendo comunque 1,5 milioni di posti di lavoro. Da questa crisi mondiale, la piccola Italia dell’auto – mi ricorda un top manager – ci mise tre anni per uscirne, a partire dal 2011.
Oggi Draghi sostiene che per reggere agli effetti della pandemia bisogna fare cose mai fatte prima, come cancellare il debito privato. Per ora, vedo soltanto ombre di nazionalizzazioni, cioè di partecipazioni spinte dello stato nelle aziende, in Francia e pure in Germania.
Operazioni che potrebbero agevolare nuove fusioni: strano che Oliver Zipse, ceo di Bmw, abbia sentito la necessità di portarsi avanti su questo tema con un “nein” durante la presentazione dei risultati 2019, benché apparentemente nulla di tutto ciò sembrasse nell’aria. Mentre Jean-Dominique Senard, presidente di Renault, ha detto subito di essere contrario a una nazionalizzazione e che attualmente gli ordini sono diminuiti del 90%. Non faccio fatica a pensare che aprile sarà come marzo.
Draghi teme una “infinità di fallimenti” in tutti i campi. Una traduzione simultanea nell’auto è questa: il settore, alle prese con costi fissi anche a produzione ferma, deve sostenere adesso gli oneri finanziari della cassa integrazione per i dipendenti. Nel nostro Paese, per esempio, è l’azienda ad anticiparla. Ora c’è l’accordo perché sia la banca a versarla ma resta l’interrogativo: il sistema ce la farà? In ballo c’è la vita di migliaia di persone, di milioni a livello globale. Draghi insiste: “La priorità è innanzitutto tutelare i lavoratori dalla perdita del lavoro”. Il come lo ha indicato.
Dalla crisi 2008-2009 l’auto ne uscì sia con aiuti pubblici (altri 6 miliardi diretti, per esempio, furono usati in Francia per Psa e Renault), sia con rottamazioni, “cash for clunkers” una tantum nell’estate del 2009 in America, in ordine sparso temporale in Europa. Servirono a eliminare gli stock.
Ma ai tempi dell’impossibile che diventa possibile, questi vecchi strumenti potrebbero essere sufficienti per ripartire, o bisognerà ricorrere al cilindro del nuovo grillo parlante per far sopravvivere più gente possibile, nell’auto come altrove?
@carblogger_it
Carblogger
A guida autonoma
Motori 2.0 - 1 Aprile 2020
La ricetta Draghi applicata all’industria dell’auto. Ce la caveremo come dopo la crisi 2008/09?
di Carblogger
Mario Draghi è diventato il grillo parlante dell’Europa. Dalla guest column del Financial Times nello stesso giorno del Consiglio europeo – strumento e tempismo perfetti per lo scopo – l’ex governatore della Bce ha battuto un colpo deflagrante: a causa del coronavirus, i governi dovranno abituarsi a gestire debiti pubblici più alti e prevedere la cancellazione del debito privato. Cose da fare in fretta.
Se applicassimo la ricetta di Draghi allo scenario che si intravede per l’industria dell’auto, la proiezione potrebbe avere una valenza mai vista per il settore, che – come tutti – vive nella paura della non conoscenza su quando finiranno gli effetti della pandemia, e cosa resterà in piedi.
La Grande Depressione del 1929 – cominciata a Wall Street di giovedì 24, per coincidenza lo stesso giorno della settimana usato da Draghi – spazzò via tante vite e nell’auto americana tanti piccoli marchi, ma non fece fallire le tre big di Detroit che anzi rafforzarono la loro quota di mercato. Dalla Grande depressione, è noto, si uscì definitamente con la Seconda guerra mondiale.
Nella grande crisi finanziaria del 2008-2009, nonostante il candidato repubblicano alla Casa Bianca Mitt Romney e uomo del Michigan avesse detto “lasciamo andare in bancarotta Detroit”, l’industria dell’auto americana fu salvata con 85 miliardi di dollari di aiuti pubblici in finanziamenti e altre agevolazioni. Non regali: un giorno Sergio Marchionne, che restituì il prestito con sei anni di anticipo, lamentò in pubblico che il denaro federale ricevuto per salvare Chrysler (e Fiat) avesse avuto tassi troppi alti.
Fu un salvataggio con morti e feriti, che purtroppo non mancheranno mai: negli Usa chiusero 14 fabbriche e circa 2.000 dealer, travolgendo migliaia di famiglie ma garantendo comunque 1,5 milioni di posti di lavoro. Da questa crisi mondiale, la piccola Italia dell’auto – mi ricorda un top manager – ci mise tre anni per uscirne, a partire dal 2011.
Oggi Draghi sostiene che per reggere agli effetti della pandemia bisogna fare cose mai fatte prima, come cancellare il debito privato. Per ora, vedo soltanto ombre di nazionalizzazioni, cioè di partecipazioni spinte dello stato nelle aziende, in Francia e pure in Germania.
Operazioni che potrebbero agevolare nuove fusioni: strano che Oliver Zipse, ceo di Bmw, abbia sentito la necessità di portarsi avanti su questo tema con un “nein” durante la presentazione dei risultati 2019, benché apparentemente nulla di tutto ciò sembrasse nell’aria. Mentre Jean-Dominique Senard, presidente di Renault, ha detto subito di essere contrario a una nazionalizzazione e che attualmente gli ordini sono diminuiti del 90%. Non faccio fatica a pensare che aprile sarà come marzo.
Draghi teme una “infinità di fallimenti” in tutti i campi. Una traduzione simultanea nell’auto è questa: il settore, alle prese con costi fissi anche a produzione ferma, deve sostenere adesso gli oneri finanziari della cassa integrazione per i dipendenti. Nel nostro Paese, per esempio, è l’azienda ad anticiparla. Ora c’è l’accordo perché sia la banca a versarla ma resta l’interrogativo: il sistema ce la farà? In ballo c’è la vita di migliaia di persone, di milioni a livello globale. Draghi insiste: “La priorità è innanzitutto tutelare i lavoratori dalla perdita del lavoro”. Il come lo ha indicato.
Dalla crisi 2008-2009 l’auto ne uscì sia con aiuti pubblici (altri 6 miliardi diretti, per esempio, furono usati in Francia per Psa e Renault), sia con rottamazioni, “cash for clunkers” una tantum nell’estate del 2009 in America, in ordine sparso temporale in Europa. Servirono a eliminare gli stock.
Ma ai tempi dell’impossibile che diventa possibile, questi vecchi strumenti potrebbero essere sufficienti per ripartire, o bisognerà ricorrere al cilindro del nuovo grillo parlante per far sopravvivere più gente possibile, nell’auto come altrove?
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".