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Coronavirus, così l’emergenza rafforza i grandi gruppi del web. Che avranno a disposizione sempre più dati degli utenti

I servizi di video on line di Facebook crescono al ritmo di +40% a settimana, così come gli accessi a YouTube che appartiene a Google. Volano videoconferenze, videochiamate, comunicazioni su Whatsapp. Amazon è sempre più dominus del mercato, decide quali aziende finanziare e quali lasciare morire. Intanto continuano a pagare pochissime tasse o addirittura ottenere crediti fiscali

Quando tutto sarà passato, saranno molto più forti di quando tutto è iniziato. Sono quei pochi nomi che dominano il web: Amazon, Google, Microsoft, Facebook. Il disastro Covid-19 non ha fatto altro che consolidarne lo strapotere. Certo, anche questi colossi subiranno i contraccolpi di un calo, più o meno prolungato, della pubblicità. Ma sarà temporaneo e per loro gestibile. Da un punto di vista strategico invece ne usciranno decisamente rafforzati.

Mentre le richieste di disoccupazione negli Stati Uniti schizzano al massimo storico, Amazon ha annunciato l’intenzione di assumere 100mila nuovi addetti per far fronte al boom della domanda di beni acquistati on line e consegnati a domicilio. I servizi di video on line di Facebook crescono al ritmo di +40% a settimana, così come gli accessi a YouTube che appartiene a Google. Vola l’utilizzo di piattaforme per videoconferenze o per videochiamate, tra cui Skype di Microsoft o Google Meet, così come si moltiplicano le comunicazioni su Whatsapp che appartiene a Facebook. Amazon è sempre più dominus del mercato. Ferma i fornitori che non vendono beni di prima necessità, decide quali aziende finanziare e quali lasciare morire. Fa il bello e il cattivo tempo, come prima più di prima.

Sui conti, certo, il calo della pubblicità si farà sentire. Le prime indicazioni in tal senso sono già arrivate. Alcune delle prossime trimestrali non saranno forse le più esaltanti della storia ma si tratta di flessioni temporanee, assolutamente gestibili da questi gruppi. Che dall’emergenza usciranno rafforzati. Soprattutto saranno ancora più padroni indiscussi dei dati dei loro utenti, la vera, inesauribile, miniera d’oro a cui attingono Amazon, Facebook, Google e soci.

Si tornerà gradualmente alla normalità. Ma nel frattempo, molti dei nuovi utenti saranno stati fidelizzati. La “scoperta” di forme di lavoro smart, a distanza e decentrate, lascerà il segno. Non con i picchi attuali ma certamente più di prima. L’utilizzo di molti servizi on line è dunque destinato ad assestarsi su livelli superiori rispetto a prima. Gruppi come Amazon o Microsoft ottengono inoltre una buona fetta dei loro ricavi dai servizi di cloud. Ossia dagli immensi spazi di memorizzazione e gestione di dati e servizi di cui usufruiscono aziende e persino agenzie governative.

Si tratta di gruppi che dispongono di molto denaro liquido, nel complesso oltre 500 miliardi di dollari, molti dei quali ancora parcheggiati in paradisi fiscali o investiti in titoli di Stato, per lo più statunitensi. Sono quindi relativamente al sicuro dal peggioramento delle condizioni di mercato e di credito. Sostanzialmente non hanno debito, o quello che hanno possono gestirlo facilmente. Grazie ad attente strategie fiscali, agevolate dal fatto di commercializzare molti beni immateriali come brevetti o algoritmi a cui è difficile attribuire un valore preciso, riescono a pagare aliquote bassissime. Lo scorso anno Amazon è riuscita ad incassare negli Usa un credito di imposta di 129 milioni di dollari, a fronte di 11 miliardi di dollari di utili.

Nel massacro delle Borse dell’ultimo mese anche questi titoli hanno accusato il colpo ma si stanno riprendendo più velocemente degli altri. Soprattutto Amazon e Microsoft o Netflix che addirittura riesce a guadagnare in piena tempesta. Paradossale per le tante analisi che proprio in questi titoli individuavano l’epicentro della presunta “bolla”, con prezzi delle azioni ritenuti eccessivi rispetto dai dati di bilancio.

La necessità di imbrigliare lo strapotere di questi big è da tempo oggetto di discussione nelle stanze del potere politico, negli Stati Uniti come in Europa. Informalmente la Casa Bianca di Barack Obama aveva discusso la possibilità che le piattaforme pagassero gli utenti per i dati che forniscono. Un piccolo e timido annuncio in questa direzione era stato fatto da Facebook prima dello scoppio dell’emergenza Covid. Chissà. Anche Beppe Grillo, dal suo blog, ipotizza di attingere ai grandi tesori del web per finanziare un reddito universale che consenta di far fronte ai disastri della pandemia. Non sarà facile, il braccio di ferro era difficile prima, lo sarà ancora di più dopo.