È tutto sotto controllo in Svezia, tanto che il governo ha disposto un limite al rilascio di farmaci. Non si potrà ritirare più del fabbisogno di tre mesi, anche se si è in possesso di prescrizione medica e se il farmaco è a completo carico del paziente. Il provvedimento è stato preso per garantire un’equa distribuzione delle medicine, come ha spiegato la Ministra per il Sociale Lena Hallengren. E il governo ha annunciato un ulteriore aumento del pacchetto anticrisi covid19: in tutto sono stati stanziati 800 miliardi di corone ( circa 73 miliardi di euro) destinate, nel complesso, al rilancio dell’economia svedese (banche, imprese, lavoro). Partiamo da qui per risalire alla reale situazione in Svezia, dove la quarantena continua ad essere su base volontaria e poco sembra aver toccato l’opinione pubblica il fatto che le immagini della folla a spasso per Stoccolma lo scorso weekend, abbiamo fatto il giro del mondo. Una politica del ‘laissez-faire’ che ha una lunga tradizione e che ha spinto le autorità, nonostante 4.500 casi e 180 morti, a tenere aperti bar, ristoranti, locali notturni e scuole (nella foto Stoccolma il 1 aprile).

Il Paese conta 5,8 posti di terapia intensiva ogni 100mila abitanti e attualmente il numero dei pazienti che vi sono ricoverati, in costante crescita, fa ragionevolmente prospettare la saturazione entro la settimana. Il 70% dei casi covid19 chiusi, si è concluso con il decesso. Ad Uppsala e a Stoccolma la Difesa ha allestito un ospedale da campo. Si sta reclutando personale sanitario in ogni modo, persino riciclando come infermieri parte dell’equipaggio di cabina della Scandinavian Airlines Sas licenziato dalla compagnia aerea a causa della crisi. Alcune hostess, dopo un corso di formazione lampo, andranno a lavorare negli ospedali.

Le scuole primarie continuano a rimanere aperte, e solo a fine marzo sono state imposte alcune restrizioni: ristoranti aperti solo se con servizio al tavolo (e non a buffet), divieto di far visita agli anziani nelle case di riposo. Gli “inviti” a non viaggiare, neanche per la Pasqua. Divieto di assembramento in gruppi di oltre 50 persone, e non di 500 come detto quando l’Oms aveva dichiarato lo stato di pandemia. È come se per gli svedesi il termine pandemia, ovvero “di tutto il popolo”, non avesse alcun significato, come se la Svezia fosse sempre e comunque al di sopra di ogni coinvolgimento globale. Se così non fosse, non si spiegherebbe la domanda rivolta da una giornalista del primo canale nazionale svedese al premier Stefan Löfven: “Anche la sua vita quotidiana è influenzata da quanto sta accadendo?” . Il primo ministro ha ammesso che sì, la cosa coinvolgeva anche lui, salvo dichiarare qualche secondo dopo che “no, non ho fatto il test, perché non ho i sintomi”. Già lo scorso 12 marzo, l’ex presidente dell’Associazione medica specializzata in cure in emergenza Katrin Hruska, aveva lanciato un allarme ignorato: “Non esiste un piano per affrontare il covid19. Ho provato ad urlarlo, che non siamo preparati, non sappiamo come usare i presidi sanitari”.

Successivamente, dal più prestigioso ospedale con annesso Istituto di ricerca di fama mondiale, il Karolinska di Stoccolma, è partita una petizione con duemila firme tra cui quella di Cecilia Söderberg-Nauclér, immunologa e ricercatrice dello stesso Karolinska: “Ci stanno portando alla catastrofe” dice, come conseguenza delle non azioni del governo.

I “consigli” per ridurre il contagio sono sempre gli stessi. Si deve restare a casa se si ravvisano i sintomi, il che continua a far credere che gli asintomatici non siano contagiosi, elemento che spicca anche dai corsi online approntati per quanti si rendono disponibili, a vario titolo, a lavorare negli ospedali interessati. Nello stesso corso di raccomanda di usare con molta parsimonia i presidi di protezione individuale e non. Voci sulla carenza di mascherine e camici si sono rincorse in queste ultime settimane, ma sono sempre state ufficiosamente smentite. Intanto gli anziani, cui il governo ha consigliato di restare a casa, popolano bus e market, in particolare a Stoccolma, la più colpita dal virus. Sin dal primo momento gli epidemiologi si sono concentrati sulla fiducia che i cittadini hanno sul sistema, additando come prima cosa le cifre del Paese che stava peggio in quel momento. Un metodo adottato più o meno anche dai media.

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