Diritti

Chiamateli femminicidi non ‘drammi della convivenza forzata’!

Il 23 marzo a Milano un uomo ha accoltellato la moglie alla gola, la notizia è stata diffusa ieri e sulla pagina locale di uno dei principali quotidiani italiani si titola “Coronavirus, accoltella la moglie dopo una lite per la convivenza forzata: arrestato a Milano” mentre nell’articolo si spiega la violenza come esito di una “lite” (al posto di aggressione si continuano ad adoperare le parole conflitto, litigio ecc) “nata a causa della permanenza prolungata tra le mura domestiche per le limitazioni alla mobilità”. Nel titolo si presenta la notizia con “coronavirus” invece che con le parole “femminicidio” o “violenza contro le donne”.

Il 31 marzo scorso Antonio De Pace ha ucciso Lorena Quaranta, 27 anni, una studentessa in Medicina che sognava di unirsi presto ai sanitari che stanno combattendo l’epidemia da Covid-19. Non potrà mai farlo perché è stata uccisa dall’uomo con cui aveva una relazione da tre anni.

La violenza contro le donne non viene fermata dall’epidemia ma il “coronavirus” sta sostituendo altri termini nelle narrazioni tossiche sulla violenza: sono cambiate le parole ma il risultato è lo stesso perché si dimenticano assorbite da una cortina di nebbia di facili risposte, tutte le domande che chi fa informazione dovrebbe farsi sulle cause della violenza. Nel sommario dell’articolo sul femminicidio di Lorena (“Messina, strangola la compagna e chiama i carabinieri”) si riporta il commento del Rettore dell’Università di Messina che dichiara “si è trattato del dramma della convivenza forzata“. Così la “convivenza forzata” a causa della quarantena per il coronavirus, si sta sostituendo negli articoli al “raptus”, al “dramma della gelosia”, “ai fantasmi del tradimento”, “all’elevato tasso della gelosia”, “alla disoccupazione”, “alla separazione”, “alla causa per l’affidamento dei figli”, “all’abbandono”, “alla depressione”, “alla paura dell’abbandono” eccetera eccetera eccetera.

Sul sito blasting news la frase “dramma della convivenza forzata” si trova nel titolo ma anche in un paragrafo dell’articolo e a sostegno della tesi dell’improvvisa violenza causata dalla “convivenza forzata” ci sono le interviste di amici che raccontano di una relazione serena. Ogni volta nelle formazioni che svolgo per l’ordine dei giornalisti invito alla riflessione evitando di raccontare la realtà di una relazione sulla base di opinioni di amici, vicini di casa, familiari senza fare approfondimenti perché la violenza non capita improvvisamente.

Il coronavirus non ha cambiato la violenza contro le donne nelle relazioni di intimità, la convivenza forzata può solo accelerare e far scattare aggressioni più frequentemente o violentemente, come avviene per esempio durante la festività o i weekend, ma ciò avviene per mano di uomini che sono violenti, che mettono in atto un controllo e un dominio nella relazione perché hanno introiettato profondamente una gerarchia di ruoli che vede la donna subordinata nella relazione, qualcosa che è invisibile anche agli occhi di chi amici, parenti o familiari.

La violenza non sempre si esprime con aggressioni fisiche ma con il controllo, con la violenza psicologica, con la denigrazione spesso sottile e non è mai un fulmine a ciel sereno perché non ci sono improvvisi “drammi della gelosia” o “drammi della convivenza forzata” e anche per questo è inopportuno che molte testate insistano a pubblicare foto della coppia dopo l’ennesimo femminicidio spostando lo sguardo del lettore sull’amore, per mostrare a tutti quanto lui amasse lei poco prima di ammazzarla o sfregiarla o picchiarla così da perpetuare la con-fusione tra amore e violenza.

Tutto ciò che noi ci rappresentiamo sull’amore è frutto di una costruzione culturale e possiamo cambiare solo se contribuiamo a smantellare ciò che abbiamo appreso e imparato sulle relazioni tra uomini e donne, sull’amore o la passione. In base all’articolo 17 della Convenzione di Istanbul i media sono responsabilizzati a partecipare ad un cambiamento culturale per prevenire la violenza contro le donne e già dal 2014 si svolgono corsi di formazione sul corretto uso del linguaggio eppure è ancora difficile affrontare il nocciolo del problema e nominare il dominio maschile e la sua violenza e prima di correre a dare delle risposte, “è stato il raptus” o “è stata la quarantena da Coronavirus”, poniamoci delle domande.

@nadiesdaa