“Colui che può porre un definitivo limite al male è Dio stesso”. Poco più di un mese prima di morire, il 2 aprile 2005, esattamente 15 anni fa, San Giovanni Paolo II consegnava al mondo queste parole. Lo faceva nel suo ultimo libro intitolato Memoria e identità, un autentico bestseller come tutti i suoi testi. Il Papa polacco sottolineava che questo limite al male è la misericordia divina. Egli guardava alle spalle della sua lunga vita, ben 85 anni, gli ultimi dei quali segnati dall’avanzare inesorabile del morbo di Parkinson che però non gli aveva fatto perdere la gioia di vivere e di tornare giovane, come spesso faceva durante le Giornate mondiali della gioventù da lui inventate. È chiaro, come lui stesso scrive, che il male per lui rappresentava l’orrore del nazismo, i campi di concentramento, il comunismo, tutte le guerre contro le quali non aveva mai mancato di far sentire il suo forte grido di condanna, le mafie alle quali non risparmiò un anatema rimasto storico, l’oltraggio alla vita umana, in ogni sua fase, e più in generale ogni attentato alla persona.

Ma sono parole che sicuramente possono essere lette anche alla luce del dramma della pandemia di coronavirus che il mondo sta vivendo proprio nell’anno in cui ricorre il centenario della nascita di San Giovanni Paolo II. E possono essere affiancate perfettamente alla commovente preghiera che Papa Francesco ha rivolto, in un’inedita piazza San Pietro deserta, affinché finisca presto il contagio in tutto il mondo. “Quando parlo del limite imposto al male, – ha scritto Wojtyla – penso innanzitutto al limite storico che, ad opera della provvidenza, è stato imposto al male dei totalitarismi che si sono affermati nel XX secolo: il nazionalsocialismo e, poi, il comunismo marxista”.

A 15 anni dalla sua morte cosa resta dell’eredità di San Giovanni Paolo II? È una domanda alle quale hanno cercato di rispondere i due Pontefici che gli sono succeduti. Benedetto XVI, suo fidato collaboratore e amico per un quarto di secolo, che lo ha beatificato. E Francesco che da lui è stato creato cardinale e che lo ha canonizzato. “Già prima avevo avuto modo di conoscerlo e di stimarlo – ha raccontato Ratzinger – ma dal 1982, quando mi chiamò a Roma come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, per 23 anni ho potuto stargli vicino e venerare sempre più la sua persona. Il mio servizio è stato sostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sue intuizioni. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edificato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una ‘roccia’, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nella Chiesa”.

Bergoglio ha sottolineato, invece, che “San Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia”. E ha aggiunto: “Giovanni Paolo II è un missionario, un uomo che ha portato il Vangelo dappertutto. Viaggiava tanto. Sentiva questo fuoco di portare avanti la parola del Signore. È un San Paolo, è un uomo così; questo per me è grande”.

La cosiddetta “generazione Wojtyla” è stata segnalata indelebilmente dalle immagini e dalle parole di quello storico pontificato durato quasi 27 anni. Dal crollo del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, che San Giovanni Paolo II contribuì decisamente a far cadere, all’avvento del terrorismo fondamentalista di matrice islamica con l’attentato alle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001. Ma anche ai 104 viaggi internazionali e alle 146 visite in Italia. Al Papa atletico e sportivo dei primi tempi che si concedeva di andare a sciare sull’Adamello, in compagnia dall’allora presidente della Repubblica italiana Sandro Pertini. Fino all’anziano Pontefice fiaccato dalla malattia negli ultimi anni.

Per tutti, credenti e non credenti, rimangono indelebili le parole che pronunciò iniziando il suo pontificato, il 22 ottobre 1978: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa ‘cosa è dentro l’uomo’. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi, vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia, permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! Di vita eterna!”.

L’avvento di Wojtyla sul trono di Pietro, il 16 ottobre 1978, del Papa che arrivava dall’altra parte della cortina di ferro, rappresentò una vera e propria rivoluzione. Non solo per la Chiesa cattolica che dopo 455 anni ebbe un vescovo di Roma non italiano, ma per il mondo intero. E i vertici dell’impero sovietico se ne accorsero subito, fin dalla fumata bianca e dalle prime storiche parole pronunciate dal neo eletto: “Siamo ancora tutti addolorati dopo la morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli eminentissimi cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l’ho fatto nello spirito dell’ubbidienza verso nostro signore Gesù Cristo e nella fiducia totale verso la sua madre, la Madonna santissima. Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… la nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete. E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia nella Madre di Cristo e della Chiesa, e anche per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa, con l’aiuto di Dio e con l’aiuto degli uomini”. Nessuno quella sera del 1978 avrebbe mai potuto immaginare che, esattamente 20 anni dopo, Wojtyla avrebbe messo piede a Cuba accolto con tutti gli onori da Fidel Castro.

Twitter: @FrancescoGrana

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