Non ho mai dialogato tanto su Whatsapp come in queste ore. Studenti, colleghi, ex alunni. Il mondo della scuola è nel caos e prevale l’ipotesi più pessimista: “Non si tornerà in classe prima di settembre.” E’ così? Nessuno può dirlo oggi in piena crisi sanitaria; vero è, invece, che le risposte della politica e di alcuni docenti non sempre sono all’altezza del momento.

Sono eccessive, per dire, le ansie di quanti pensano soprattutto ai voti (“E’ fattibile la valutazione da dietro uno schermo?”). Ricordo che l’interrogazione è solo un momento della vita scolastica: un docente deve dare concetti e idee da portare a casa, non solo compiti e valutazioni. La scuola è una comunità educante, sempre; lo sia soprattutto ora che valutare è più difficile.

Appaiono eccessive, però, anche le pretese della politica d’inventare, seduta stante, una “didattica a distanza” senza aver mai fornito alle scuole finanziamenti adeguati. Governare è stabilire priorità: “La scuola deve essere l’ultima spesa – diceva Roosevelt – su cui l’America è disposta a economizzare”; ecco, quali sono state le priorità degli “statisti” italiani negli ultimi trent’anni? Non certo la Pubblica Istruzione a giudicare dai risultati.

Diciamolo: prima del Covid-19 la scuola era l’ultimo pensiero della politica; sottofinanziata, marginalizzata; quante volte sono saltati (oggi almeno c’è un motivo) i concorsi a cattedra? Quante volte i Consigli d’Istituto sono stati costretti ad arrangiarsi, in nome d’una malintesa autonomia, per sopravvivere? “Sarà bello il giorno in cui la scuola prenderà dallo Stato tutti i soldi che vorrà e l’esercito sarà costretto a organizzare collette per comprare armi.” Utopie, d’accordo; ma senza soldi che fai? Nemmeno una didattica a distanza.

I dati ufficiali dicono che 1,6 milioni di studenti resta senza lezioni a casa; molte video-lezioni funzionano male (“non si sente”); e poi ci sono i “ragazzi difficili” da seguire – oggi come ieri -, come raggiungerli se non hanno un computer, un tablet, non si connettono? Ne facciamo a meno? Che scuola è questa? Ogni docente ha avuto alunni difficili, alcuni molto difficili, e ha toccato con mano quanta pazienza, affetto, comprensione siano necessari per entrare in sintonia con loro; si era consapevoli (lo si è ancora) che soprattutto salvando “questi” ragazzi la scuola pubblica svolga il suo compito. E’ ancora possibile all’epoca del coronavirus?

Inutile nasconderlo, i problemi sono tanti. Certo, la ministra Lucia Azzolina sta facendo il possibile; è seria; ha detto cose sagge (“avremo un esame di Stato più leggero”; “le commissioni saranno composte da membri interni con presidente esterno”; “saltano i requisiti delle prove Invalsi”…); s’è mossa con prudenza, ma la scuola che ha ereditato rischia – non certo per colpa sua – di non farcela perché paga ritardi pluridecennali.

Insomma, non sono “i promossi” o “l’ammissione alla Maturità col cinque” le vere incognite odierne. Siamo seri. La scuola dopo la tempesta deve ri-nascere: questo conta, e appare sempre più chiaro dietro la solitudine di un computer mentre si prova, nonostante tutto, a stare vicino agli alunni.

Non si sottovaluti un dato: sentendo i ragazzi (anche al telefono) s’avverte che non vedono l’ora di tornare tra i banchi, incontrare i compagni, vedere il prof scherzare e poi serio spiegare Dante, Nietzsche, Shakespeare…; cercano l’empatia che scatta nella lezione, la voce e la presenza del docente. Sì, non vedono l’ora di tornale a scuola gli studenti, tra libri, lavagna, gessi, e domande, dialoghi. Anche l’interrogazione non appare più odiosa, ora che, per la pandemia, il vecchio mondo sembra perso. Lontano.

Questa voglia di scuola è un’occasione, un bisogno su cui investire. Sono stati stanziati 85 milioni per la didattica a distanza. E 8,2 per gli animatori digitali. Ben vengano innovazione e strumenti di supporto alla didattica; guai a pensare tuttavia che debbano essere qualcosa di più di un supporto, che uno schermo possa sostituire l’insegnante: la scuola mostra, ora più che mai, la sua centralità.

L’ultimo Whatsapp di oggi è di un collega: “Qualcuno già pensa di sostituire ‘la lezione-dialogo’ con la didattica a distanza: Platone inorridisce”. “Ho appena finito un articolo – rispondo – per denunciare il pericolo di una simile aberrazione.”

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