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di Andreina Fidanza
In queste settimane, in cui milioni di cittadini sono chiamati a responsabilità civiche che possano tradursi nel rapido allontanamento dell’epidemia che ha investito il globo, i soggetti portatori di handicap e le rispettive famiglie stanno inevitabilmente pagando il prezzo più caro imposto dalle restrizioni che le istituzioni hanno vergato.
A misure inevitabili e funzionali per la salvaguardia dell’intera popolazione, l’obbligo perimetrale imposto a pazienti portatori di patologie neuropsichiatriche ha letteralmente stravolto una quotidianità che giorno dopo giorno si sta facendo sempre più complicata.
Lo stop improvviso della frequenza scolastica e delle buone abitudini che questa forniva, il conseguente allontanamento da compagni di scuola e maestre di sostegno, l’arresto delle attività sportive e soprattutto la brusca interruzione di tutte quelle terapie (logopedia, musicoterapia, rieducativa) che offrivano un graduale recupero delle funzioni emotive e comportamentali, costituisce un vero e proprio flagello che sta portando ad una lenta ma progressiva regressione di tutti i passi avanti fatti.
Frustrazioni, difficoltà di concentrazione e apprendimento, stereotipie tornate prepotentemente a galla, impossibilità di razionalizzare la condizione di quarantena: tutti elementi che stanno mettendo in grossa difficoltà sia i soggetti portatori che i genitori degli stessi. Nonostante una costante e accurata applicazione nel proporre giornalmente le più svariate attività, che queste siano ludiche che didattiche, il passare del tempo sta amplificando le difficoltà di cui sopra.
L’ultima circolare del Viminale, dopo che lo stesso Ministero aveva messo in primo piano le esigenze dei runner o degli animali domestici rispetto ad anziani e inabili, non può comunque sopperire all’attuale mancanza di quelle discipline sanitarie atte alla salute di soggetti autistici.
Che fare dunque? Da mamma di due bambini affetti dalla patologia l’unica risposta, anzi, l’unica speranza che ho (perché di risposte in questo momento non ne trovo) e che il ministro della Salute possa nel più breve tempo possibile valutare l’opportunità di far riprendere le terapie (che queste siano ambulatoriali o private) a quei soggetti che, per “motivazioni di necessità o salute”, hanno l’assoluto bisogno di dare continuità ad un percorso riabilitativo che diversamente rischia di compromettere il lavoro svolto nei mesi e negli anni precedenti.
Nella giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo è dunque d’obbligo denunciare il limite temporale raggiunto da soggetti affetti da patologie neuropsichiatriche.