Troppi medici, oltre seimila accertati e chissà quanti non accertati, sono stati infettati dal coronavirus e molti purtroppo sono i deceduti (oltre settanta). C’è un’evidente falla nel nostro sistema sanitario di fronte al virus. Già l’esperienza del cosiddetto paziente 1 e dell’ospedale di Codogno ha dimostrato come l’apparato sanitario possa divenire un terribile veicolo di infezione. Pare infatti dalle ricostruzioni, avvalorate dal presidente del Consiglio che ha parlato di errori, che da un unico paziente si sia infettato un numero enorme di degenti e medici dell’ospedale.

La sanità italiana è eccellente perché, a differenza di altri paesi, ha costruito negli anni una relazione molto importante fra i medici e i pazienti. La possibilità di avere un ausilio molto ravvicinato col medico di famiglia, coi pronto soccorso e gli ospedali, dislocati anche in piccoli paesi, è stata una risorsa importante per la sanità pubblica nel nostro paese. Ora, però, questa fruibilità sanitaria, sconosciuta in altre nazioni, sta divenendo un grave problema di fronte all’infezione.

Il medico di famiglia se continua, come al solito, a visitare in ambulatorio dai 20 ai 30 pazienti al giorno può, suo malgrado, infettarsi e divenire veicolo di contagio. Anche la struttura ospedaliera, se troppo frequentata, è causa di grossi guai per la possibilità di diffondere l’epidemia. Occorre in tempi rapidi che qualcuno rifletta e prenda decisioni importanti, senza sempre demandare al buonsenso e alla disponibilità dei medici.

I medici, oltre a dover fronteggiare migliaia di diverse patologie, sono pressati da problemi burocratico-amministrativi, come fare ricette ripetibili, certificati di malattia, relazioni per svariate attività. Non possono da soli decidere di cambiare prassi consolidate, disposizioni legislative o limitare l’assoluta disponibilità fin qui offerta alle esigenze dei pazienti (che, tra l’altro, potrebbero denunciarli).

Occorre che l’Istituto Superiore di Sanità emani direttive stringenti che assumano obblighi di legge. Ad esempio inibire l’accesso a chi deve fare una ricetta o un certificato, consentendo l’entrata all’ambulatorio solo dopo opportuno e lungo colloquio telefonico, oppure chiudere tutte le visite ai pazienti degenti, anche se non in reparti Covid.

Non voglio entrare nei dettagli, in quanto devono essere persone più esperte del singolo mestiere di me a decidere, ma mi preme sottolineare che certe determinazioni non le può prendere, a suo rischio e pericolo (di denuncia o infezione) il medico del paesino che ha spesso un rapporto di amicizia e frequentazione col paziente. Le direttive devono essere nazionali e, per un periodo limitato, sarà necessario derogare da prassi consolidate, senza incorrere in sanzioni: il medico che decide dopo un colloquio telefonico esaustivo di non visitare il paziente di persona deve essere tutelato nel caso di denuncia o di evento imprevedibile.

Visto che siamo in guerra contro un nemico invisibile la prima linea, composta dai medici, deve essere preservata da regole stringenti perché le condizioni in cui oggi si trova ad operare sono eccezionali. Se sarà necessario occorre chiudere gli ambulatori dislocati su tutto il territorio per centralizzare le visite urgenti in luoghi attrezzati, opportunamente filtrate da colloquio via telefono o videochiamata.

Ci sarà il tempo e l’opportunità di tornare alla consueta fruibilità del medico e dell’ospedale. Questo non significa disconoscere l’importanza del rapporto individuale medico-paziente, della relazione, della vicinanza emotiva. Ma è necessario porre filtri rigidi: ad esempio le visite domiciliari devono essere svolte solo eccezionalmente, in certe condizioni e con strumenti adeguati, anche con l’ausilio di strutture dell’Usl come un’ambulanza attrezzata ed equipe dedicate. Ciò offrirebbe protezione al medico e al paziente.

Sarebbe opportuno, altresì, inibire l’accesso ai parenti che vogliono (giustamente) vedere il loro caro ricoverato per un intervento chirurgico. Questa misura mi pare necessaria in un momento così delicato, anche se appare crudele e dolorosa.

Bisogna scegliere il male minore e, in questa emergenza, è certamente la possibilità di mantenere una prima linea contro l’infezione in grado di reggere all’urto e di evitare che, una volta infettata, divenga essa stessa fonte di propagazione della malattia.

Psicologicamente è difficile per il medico scegliere caso per caso, in quanto entrano in gioco mille problemi derivanti dalle necessità terapeutiche e relazionali. Il singolo sanitario, sottoposto a tutte queste pressioni, corre il rischio di offrire una disponibilità eccessiva che si può ritorcere contro di lui e , conseguentemente, contro tutti i pazienti che visiterà nei giorni successivi. Per questo occorrono temporanee e rigide direttive nazionali accettate per legge da tutti.

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