Scuola

Scuole chiuse, la didattica a distanza non è democratica

In queste ore mi è stata segnalata la lettera aperta alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, scritta da due maestre napoletane. E’ la voce di tanti docenti che in questi giorni non riescono a raggiungere tutti i loro alunni. Me l’ha detto anche una professoressa di Lettere di un istituto professionale di Cremona: la didattica a distanza non è democratica.

La ministra ha ragione: non abbiamo alternative in questo momento. E’ l’unica soluzione possibile e il ministero sta facendo davvero tutto il possibile per affrontare l’emergenza ma dobbiamo dirci come stanno le cose con franchezza: in questi giorni la scuola non è aperta a tutti come cita l’articolo 34 della nostra Costituzione. La scuola a distanza esclude i più deboli, i più svantaggiati, quelli che già prima del coronavirus non ce la facevano.

In questi giorni ho visto maestre provare a contattare questi alunni in ogni modo: usando WhatsApp, telefonando a casa. Ma c’è poco da fare. Penso soprattutto ai bambini più piccoli, a quelli di sei, sette, otto anni che senza una mamma o un papà all’altezza del loro ruolo, non seguono alcuna lezione online. Penso alle tante famiglie del Sud che vivono in cinque o sei in un “basso” e non hanno lo spazio fisico e psicologico per fare qualsiasi tipo di didattica a distanza. Penso a chi, al Nord come al Sud, non ha un personal computer ma solo un telefonino. Penso a chi prima era aiutato da straordinari volontari delle tante associazioni parrocchiali e non che prestavano i loro pomeriggi a seguire questi ragazzi in difficoltà.

Questo mondo l’abbiamo perso. Non c’è modo per raggiungerlo. Lo stesso ministero lo ha ammesso: 1,6 milioni di alunni non sono ancora stati raggiunti dalla didattica a distanza.

Allora hanno ragione le maestre di Napoli di cui riporto la lettera.

Cara Ministra, Come maestra e cittadina ho ascoltato con attenzione il suo discorso di due giorni fa, però mancavano tantissime cose.

Mancava Gennaro, del pallonetto di Santa Lucia con il padre in carcere e la madre che preferisce fare i selfie sul telefonino, piuttosto che seguirlo; Gennaro che è stato reso un elemento indispensabile in classe, attraverso gli incarichi, il gioco, le risate, le iniezioni di fiducia che tutte le docenti si sono impegnate ad attivare nel quotidiano. Dove sta Gennaro, cara ministra? Non riesco a raggiungerlo con nessuno dei canali informatici fondanti della Didattica a distanza ( e solo il nome mi fa rabbrividire in quanto la didattica o è in presenza o è altro…)

Mancava Fabrizia, che ha forma di autismo gravissima e che con i video inviati per la didattica a distanza non fa altro che piangere, e alla sua mamma che non riesce a calmarla, né a spiegarle il perché della sua forzata reclusione che per lei è incomprensibile…

Mancava Giovanni, con cui, vincendo le resistenze della famiglia per l’ accettazione delle sue difficoltà di apprendimento, avevamo avviato inclusione, infuso autostima e voglia di imparare e migliorare…

Le mie colleghe, stanno facendo sforzi enormi per tenersi al passo e non lasciare indietro nessuno tra mille difficoltà. Si disperano perché capiscono le enormi difficoltà, anche future della scuola, con cui ogni giorno ci si incoraggia, tentando di escogitare metodi per raggiungere tutti i Gennaro, tutte le Fabrizia, tutti i Giovanni, sempre sulla buona volontà. Perché la scuola, come l’ avete resa oggi, si basa solo sulla volontà dei singoli che ne fanno parte.

Mancavano le difficoltà quotidiane di una scuola che avete distrutto, dove anche avere il sapone e lo Scottex è considerato, per gli addetti ai lavori, un vero e proprio lusso…una scuola che si regge sulla buona volontà dei docenti, sul loro impegno e senso di responsabilità, dove mancano le lavagne in ardesia e figuriamoci le LIM!

Mi ha colpito anche l’indagine sul grande numero di alunni che è stato raggiunto dalla didattica a distanza: in quel numero però Gennaro, Fabrizia con la sua mamma, Giovanni…mancavano!
Parliamo poi degli strumenti necessari per interagire con i docenti. Quante famiglie hanno un pc o un tablet? Hanno il cellulare, è vero, ma quanto può essere fruibile questo strumento da un bambino della scuola primaria senza l’aiuto di un adulto?

Tutti ormai hanno la bocca piena di parole come download, upload, allegato, bacheca e dati condivisi, ma questo necessariamente richiede l’assistenza di un adulto. E dimentichiamo che molti adulti da casa stanno lavorando e devono barcamenarsi tra l’audiolettura di un figlio alla primaria, la videolezione di inglese del figlio alle medie su Zoom e quella di latino del maggiore su Skype. Quanti pc, tablet, cellulari occorrono? Ancora una volta ad essere penalizzate saranno le famiglie più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico.

Si parlava poi di valutazione. Come si potrebbe mai dare un voto in una simile situazione?
Valutiamo il numero di ore di connessione? O la velocità con cui si scaricano e si caricano i compiti? Sul documento di valutazione di Gennaro, Fabrizia, Giovanni scriveremo allora che l’alunno si è mostrato poco partecipe collegandosi raramente alla classe virtuale ed interagendo in modo saltuario con i docenti e con i pari.

Questa emergenza sta semplicemente dimostrando che la tanto vituperata classe docente ha contato, conta e conterà sempre e soltanto sulla propria voglia di “fare la scuola” attraverso il rapporto umano che nessun software potrà mai sostituire.

L’unica cosa sulla quale possiamo essere d’accordo è che quest’anno ormai è andato e segnerà per sempre la scuola oltre che le vite di tutti, ma deve servirci per fare una profonda e accurata revisione del sistema educativo, che di inclusivo ha poco o nulla.