Intervista allo scrittore e studioso milanese: "Se riusciamo però a interpretare i segnali della paura possiamo imparare a diventare liberi. I politici? C'è chi suscita le paure e chi le combatte, cercando di favorire il bene comune e il dialogo"
Uno dei fenomeni che inevitabilmente ha accompagnato queste settimane di epidemia è stato quello della paura. Una paura gigante, che ha contagiato quasi ogni angolo della Terra e che ha atrofizzato la vita di milioni di persone. “Siamo al cospetto di qualcosa di molto più grande di noi” dice a ilfattoquotidiano.it Vito Mancuso, teologo milanese, estimatore ricambiato del cardinale Carlo Maria Martini, autore di molti libri di successo sulla religione e in senso più ampio sulla spiritualità. “Se riusciamo però a interpretare i segnali della paura – continua Mancuso – possiamo imparare a diventare liberi”.
La paura è una cosa negativa, ma molto spesso ne siamo affascinati. Penso ai film horror, ai luoghi abbandonati, alle esperienze estreme. Perché?
Penso che sia per una legge fisica, la legge dell’attrazione gravitazionale, quella in base alla quale una massa maggiore attrae una massa minore. Perché abbiamo paura? Perché è qualcosa più grande di noi. Il virus è piccolo ma moltiplicandosi diventa enorme e attrae la nostra massa minore.
Un’attrazione magnetica?
È quell’ambiguo rapporto di attrazione e repulsione, quell’allontanarsi ma al contempo andare a vedere, come di fronte a un burrone: con una gamba sto indietro, con l’altra invece mi avvicino e voglio vedere. Quest’ambiguità si riproduce oggi nella nostra situazione. Ci troviamo al cospetto di qualcosa di molto più grande di noi, qualcosa di sconosciuto, che fa tanta paura e soprattutto dolore per chi ha perso i propri cari. Nei suoi confronti però è possibile provare anche una sorta di attrazione che può diventare quasi fatale.
Possiamo dire che c’è qualcosa di bello nella paura?
La categoria estetica che costituisce la percezione più integrale della bellezza non è quella del bello ma quella del sublime. Nel sublime è presente anche quell’attrazione che viene generata dal brutto, dal disarmonico, l’orrido, il grottesco, quindi il pauroso e il terribile. Mentre l’estetica classica sottolinea il primato unilaterale dell’armonia, intesa come ordine, bellezza e proporzione, esiste anche una dimensione estetica che fa leva sulla disarmonia, la paura e il brutto.
Possiamo superare la paura?
Noi non siamo del tutto liberi, però lo possiamo diventare. La paura è l’emozione negativa che si produce in noi quando la mente capta dei segnali che generano un senso di pericolo nell’ambiente circostante. Captare questi segnali e decifrarli correttamente è fondamentale per capire di essere esposti a forze più grandi di noi; solo quando realizziamo di essere incatenati possiamo iniziare il percorso per sciogliere almeno in parte queste catene.
La paura c’entra qualcosa con il divino?
Se andiamo a vedere nella storia delle religioni come la religiosità umana si è configurata, certamente una delle due dimensioni costitutive del fenomeno divino ha a che fare con la paura. L’altra con il fascino. Questa è stata la grande lezione dello studioso Rudolf Otto, che ha spiegato come il sentimento del sacro nell’umanità si basi su due esperienze fondamentali, il mysterium tremendum e il mysterium fascinans, laddove tremendum va interpretato come ciò di fronte a cui devi tremare. Si trema di fronte alla paura, quindi timore e tremore, che può diventare anche terrore. Il senso del divino si genera anche da questa dimensione.
E l’altra dimensione?
È quella della tenerezza. Fascinans è da intendersi proprio come ciò che abbraccia, ciò che crea un fascio dentro al quale voglio essere avvolto, essere insieme, aggregarmi, abbracciarmi: è il sentimento proprio dell’intimità, che pure è alla base delle religioni mondiali. Questo contrasto tra paura e tenerezza vale per tutte le religioni.
E con la politica, invece, quale rapporto ha la paura?
È evidente che i politici hanno molto a che fare con le paure della gente, un po’ suscitandole, un po’ combattendole. Essendo la paura una componente essenziale della dimensione umana, è inevitabile che sia così. A mio avviso ci sono due tipi di acquisizione del consenso politico, irrazionale e razionale, e il primo fa molto leva sulla paura. Esige che le persone siano spaventate, che abbiano un nemico, per instillare in esse il bisogno della propria soluzione politica, che quasi sempre coincide con quella dell’uomo forte e dirigente. La gente deve sentire paura di fronte a qualcuno di specifico affinché ci si possa offrire come grandi guerrieri nei confronti del nemico.
L’altro tipo invece?
È quello razionale, che riconosce le paure ma fa in modo che non diventino fobie – perché la paura quando non viene riconosciuta ma viene nutrita diventa fobia, terrore, persino panico. È l’acquisizione che si basa su argomenti razionali, che considera i propri “nemici” come avversari e non come nemici, che cerca di favorire il bene comune, il dialogo, la cittadinanza critica, ecc. Questa è la via razionale e democratica. Naturalmente, quella che sta vincendo oggi è l’altra.
Secondo alcune scuole la filosofia e la scienza hanno la stessa origine antropologica: tenere sotto controllo la paura. Concorda?
Paura in greco si dice Phobos, ma si può anche dire Thauma, che significa “meraviglia” nel duplice senso del termine: positivo, come quando ci stupiamo della bellezza delle cose; negativo, come quando ci troviamo di fronte a uno scandalo che suscita indignazione e orrore. La filosofia nasce da queste due dimensioni, non solo dalla paura, ma anche dal senso del bello. E così anche la scienza. Da un lato si celebra il mondo come un orologio dove tutto fa tic-tac nel modo più regolare possibile, dall’altro si ha che fare con il disordine, la malattia, la morte.
La paura può avere un significato positivo nella nostra vita o dobbiamo evitarla in tutti i modi?
Non si può sfuggire la paura. Sottrarvisi significa cadere nell’estremo negativo della temerarietà. Le virtù secondo Aristotele, e io sono completamente d’accordo con lui, sono sempre il frutto di un punto di equilibrio, di una medietà. La paura si sconfigge con il coraggio, che è un punto di equilibrio tra l’estremo della vigliaccheria e quello della temerarietà. Il vigliacco è colui che diventa preda della paura, non la vince e scappa; il temerario è colui che non legge in alcun modo i segnali che la mente gli dà, e fa finta che non ci sia la paura.
Anche la temerarietà è negativa quindi?
Tanto quanto la vigliaccheria, perché non avvertire i segnali del pericolo significa andare a sbattere, annegare, naufragare. La paura è negativa ma importante, per questo non bisogna ignorarla. Essa arriva prima o poi nella vita, si tratta quindi di captarne il messaggio e di agire di conseguenza. La mente è vera quando è in relazione, è autentica quando è aperta. È un sistema che funziona nella misura in cui è aperto: solo in questo modo può ospitare i vari segnali della vita, uno dei quali è la paura.
La paura può essere un’occasione per diventare migliori?
Certamente. Una delle maniere per diventare migliori è conoscere se stessi. E come mi conosco? Chiedendomi ad esempio di cosa ho paura e in che misura. Ci sono diverse scale: un conto è la paura, un conto è la fobia, cioè la paura irrazionale di fronte alla quale perdo la capacità di agire. Un’altra cosa ancora è l’inquietudine, cioè la paura permanente che rimane sempre dentro di me e che diventa ansia, terrore, panico. È importante saper distinguere i vari gradi.
In questo modo è possibile conoscersi meglio.
Certo, la paura però può anche essere un’occasione per diventare peggiori, nella misura in cui non leggo i vari segnali e non li interpreto. A mio avviso il criterio che ci fa capire che stiamo diventando migliori è la luce della conoscenza. Non è l’unico, ce ne sono anche altri, come la qualità delle relazioni, la capacità delle generosità, eccetera, ma è il più importante. Conoscere se stessi nelle proprie paure quindi è certamente una via per diventare migliori.