Ciò che non ha funzionato, quello che bisogna fare in futuro, l’analisi del presente. E una considerazione sulla categoria di cui fa parte: “Non ha funzionato forse la comunità scientifica perché ha avuto troppo protagonismo mediatico”. Parola di Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani intervistato a ‘Mezz’ora in più‘ su RaiTre. Innanzitutto quello che sta accadendo in questi ultimi giorni, con la riduzione dei ricoveri in terapia intensiva e anche allo Spallanzani. Ippolito predica cautela: “Dobbiamo pensare i numeri di gente che si è infettata nelle scorse due settimane. Dobbiamo mantenere questo trend – ha detto – Riducono i ricoveri in terapia intensiva perché man mano sappiamo di più. Abbiamo avuto un momento in cui sembrava che dovessimo portare tutti in terapia intensiva, poi si è spinto verso un accesso più razionale. Quello che abbiamo ottenuto va continuato“.
Messaggio che va esteso anche a chi è in prima linea contro il coronavirus: “I medici hanno fatto un buon lavoro, sono diventati più bravi. Non dobbiamo pensare che dopo due giorni di riduzione dei ricoveri in terapia intensiva diciamo ‘va tutto bene madama la marchesa’. Non si deve cantare vittoria“. Poi la considerazione su come la categoria ha affrontato l’emergenza: “La scienza si è evoluta con grande rapidità, con grande attenzione e con posizioni non sempre omogenee” ha detto Ippolito, che allo stesso tempo però ha riconosciuto che “la conoscenza è aumentata moltissimo in questo periodo, sono stati fatti grandi passi avanti, si è arrivati ad avere avanzamenti in termini di patogenesi, di conoscenza, sono stati messi a punto sistemi di monitoraggio, test diagnostici, anche se non è andata così bene con i farmaci – ha aggiunto – perché molte situazioni che sembravano risolutive non lo sono, ma ciò è servito a a creare un nuovo modello per valutare i farmaci e essere più rapidi nelle valutazioni e autorizzazioni da parte dell’Aifa“.
Poi l’accusa: troppa esposizione mediatica: “In questa emergenza coronavirus forse la comunità scientifica non ha funzionato perché talora ha avuto un eccesso di protagonismo mediatico – ha detto Ippolito – anche dovuto al tipo di epidemia davanti alla quale ci troviamo” e “troppo spesso ci troviamo di fronte a un retropensiero e un protagonismo che non sempre sono positivi“. Negativo, invece, il parere su come è stato gestito il sistema sanitario nazionale negli ultimi decenni: “E’ stato fortemente depotenziato per motivi economici. Depotenziare il Ssn, centrarsi su ospedali e privilegiare le eccellenze senza una rete del territorio è uno dei problemi”. Da qui a cosa bisogna fare per il futuro il passo è breve: “Ci vuole un modello di sanità centralistica per gestire le malattie infettive. Senza non se ne uscirà mai fuori”.
Di certo non se ne uscirà fuori in pochi giorni: “La nostra Pasqua sarà ancora più tranquilla dentro casa” ha detto Ippolito, che facendo poi il punto sull’andamento dei dati epidemiologici ha sottolineato: “La cosa che mi fa piacere è che le stime e i modelli concordano su una situazione favorevole per l’Italia, così come l’andamento dei dati, nonostante i ritardi di notifica ecc, sono promettenti. Se però vediamo ancora quelle immagini di ieri di alcune piazze con gente in giro – ha ammonito – a risalire rapidamente nei contagi ci vuole davvero poco, perché c’è una circolazione di virus nel paese e quindi queste misure devono essere mantenute e rispettate almeno fino alla scadenza dell’ordinanza, poi valuteremo“.
Sulle strategie scientifiche, inoltre, Ippolito ha idee molto chiare: “Nessun paese sta pensando a test di massa, quello che si sta pensando è fare campioni di popolazione per dare delle indicazioni e soprattutto capire come si possono valutare le persone per farle rientrare al lavoro. Il comitato tecnico scientifico presso la Protezione civile sta lavorando a un modello che andrà condiviso dalle autorità politiche“. Il direttore scientifico dello Spallanzani ha poi specificato che “i test di massa comportano alcune criticità, i test non sono tutti uguali, quelli che rilevano gli anticorpi indicano che una persona è venuta a contatto con il virus, ha fatto la malattia ed è verosimile che abbia una copertura contro il virus. Verosimilmente – ha spiegato – la capacità di questi anticorpi di uccidere il virus è forse l’unico modo per capire. Noi come altri Paesi stiamo tutti disegnando modelli per quantificare quante persone si sono infettate – ha detto ancora – quello ci darà la misura del livello di infezione della popolazione. Sarà 5 o 10 volte più dei dati che abbiamo, questo non lo sappiamo“.
Nel frattempo, ha proseguito Ippolito – “noi dobbiamo avere un modello Paese, che non siano ‘patenti’ ma che siano l’identificazione chiara di chi ha anticorpi neutralizzanti, quindi potenzialmente protettivi. Questo sarà essenziale anche per decidere come riaprire”. In tal senso, Ippolito ha ribadito che “bisogna arrivare a un unico modello nazionale per validare i test. Credo – ha sottolineato – che il Comitato tecnico scientifico che ha avviato un processo di valutazione, non senza qualche sbavatura come hanno denunciato alcune regioni, possa già nei prossimi giorni riportare questo a un modello di valutazione più adeguata che tenga conto anche di quello che fanno i gruppi che si occupano di validare i test”.