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di Andrea Giannotti
Caro direttore Alessandro Sallusti,
mi chiamo Andrea e sono un libero cittadino, nello specifico un (non troppo) giovane ricercatore indipendente di 29 anni. Data la mia età, è evidente che io non abbia (fortunatamente) vissuto la Seconda Guerra Mondiale né gli orrori che l’ideologia fascista scatenò durante gli anni più bui della storia italiana. Di conseguenza, non ho potuto assaporare quel sentimento che le/i mie/i bisnonne/i provarono quel 25 aprile 1945, che ancora oggi rende tanto me quanto Lei ciò che siamo: cittadini liberi.
Io non ho sentito l’odore dei cadaveri putrefatti o bruciati per le strade distrutte e spettrali; non ho udito i frastuoni degli spari e delle esplosioni; non ho sentito la quotidiana fanghiglia sotto i piedi; non ho visto quel fucile nazista puntato davanti agli occhi del mio bisnonno Vareno; non ho sentito il cuore di mia nonna Clia palpitare velocemente durante i furtivi spostamenti da una casa all’altra (sempre che ce ne fosse una ancora integra); non ho provato la speranza o la disperazione di chi ascoltava o leggeva gli aggiornamenti dagli ubiqui fronti. Non ho visto la guerra e i suoi protagonisti.
Eppure, dopo tanti anni, ci ritroviamo insieme di fronte ad un nuovo nemico, approdato in casa nostra da lontano. Certo, mettere sullo stesso piano salute e politica ha poco senso (anche se adesso sappiamo quanto la politica abbia un ruolo chiave negli investimenti sulla sanità). Ha ancora meno senso mettere sullo stesso piano un virus e un’ideologia (nonostante il fanatismo fascista sia stato tremendamente contagioso). Tuttavia, Lei ha ragione: il Covid-19 non è fascista. Perlomeno non lo è nel suo attaccare, cioè non mira a una specifica preda, ma è democratico più che mai e quindi più pericoloso. È più vigoroso (perciò “fascistamente” vigliacco) verso i deboli, quegli stessi nonni e bisnonni detentori della memoria storica nazionale, individuale e collettiva. È tragicamente avanguardista perché fugge più del tempo e accelera il passaggio del testimone. Così facendo, lascia a noi il compito di resistere e di ereditare quella memoria di quelle centinaia di italiane/i che muoiono ogni giorno con esso.
Gli scenari cambiano, ma la sostanza rimane la stessa e questa volta siamo veri spettatori: ci sono nuove trincee (gli ospedali), ci sono nuovi soldati (medici e infermieri), ci sono nuovi infermieri militari (farmacisti) e una serie infinita di nuove figure che ogni giorno rischiano qualcosa per alleviare la paura della popolazione. Ma in questa nuova guerra, pensi a quanto sono fortunati quei cittadini che possono rimanere nelle loro intatte e super-provviste case. Pensi anche alla Sua comodità di denigrare il regalo che il 25 aprile 1945 fece a tutti noi. E pensi al lusso che ha nel trovare tempo per festeggiare la mancata celebrazione del 25 aprile e discernere i veri partigiani da quelli finti.
Il fatto, direttore, è che il 25 aprile è un sentimento, più che una festa. E i sentimenti nascono da Mnemosyne, dalla memoria, che non è una “farsa avvelenatrice” ma un eterno mezzo di conoscenza. Io credo che Lei vorrà ricordare questo drammatico periodo italiano. Io sono sicuro che, alla maniera dello storico antico Tucidide, farà di questo pezzo di storia un “possesso per sempre”, così da farlo conoscere ai suoi discendenti che, pur non avendo vissuto l’invasione virale (come noi non abbiamo vissuto la Seconda Guerra Mondiale), rimarranno ammaliati da quella retorica “stupida” e “demagogica” della libertà. In questo modo, tra tanti anni, non ci sarà nessuno a deriderci per una “semplice influenza”.
Ecco, io, per il 25 aprile 2020 (se sarà quella la fatidica data), Le auguro di poter festeggiare per la liberazione dal Covid-19. Di potersi affacciare dal balcone di casa sua e cantare qualsiasi canzone Lei voglia. Di poter sorridere quando, ripensando a quella mattina d’inverno in cui si svegliò e trovò l’invasore Covid-19, si renderà conto di essere semplicemente libero, anche se lo era già da 75 anni.