Chissà che a spronare la Germania a “digerire” gli Eurobond non sia l’industria tedesca dell’auto, che genera un fatturato quantificato in circa 400 miliardi di euro l’anno: una macchina da circa 5,5 milioni di veicoli prodotti annualmente, che impiega direttamente quasi 850 mila lavoratori (oltre 1,6 milioni calcolando pure l’indotto).

Naturalmente, la discesa in campo dei giganti teutonici delle quattro ruote non è questione di buon cuore ma di business. E il punto è questo: la serrata industriale in Italia e Spagna non consente alle fabbriche tedesche – che rimarranno comunque chiuse perlomeno fino alle fine delle festività pasquali – di poter riprendere le normali attività. Questione di componentistica: se manca quella prodotta in Italia e Spagna si blocca la produzione dell’auto in Germania.

Tutto questo è legato al fatto che nella moderna produzione di veicoli non esiste lo stock della componentistica, se non in piccole quantità: è il principio della produzione “just in time”, cioè della fabbricazione dell’auto quasi in concomitanza con l’arrivo delle forniture. Una strategia industriale applicata da tutti i costruttori per risparmiare centinaia di milioni che altrimenti andrebbero spesi in stoccaggio e gestione dei depositi. Ecco perché i fabbricanti d’auto inglese sono preoccupati del no-deal con l’Europa, tanto più in questo momento storico: il principio del just in time potrebbe venire a mancare per via dei ritardi dovuti agli ipotetici controlli doganali.

Come riporta Quattroruote, “in alcuni modelli d’alta gamma prodotti in Germania si arriva fino a quasi il 20% di componenti italiane e non si tratta solo di pellami o materiali per gli interni ma anche di soluzioni meccaniche ed elettroniche altamente tecnologiche”. La componentistica italiana conta oltre 2.000 imprese, comprese eccellenze come Brembo (sistemi frenanti) e Adler (plastiche e interni) e garantisce alla bilancia commerciale del nostro paese un attivo superiore a 5 miliardi di euro.

Pertanto, secondo ricostruzioni della stampa internazionale, colossi come Volkswagen, BMW e Daimler avrebbero chiesto al governo tedesco di elaborare un pacchetto di interventi europei per contrastare la crisi del settore, esplicitando che la risoluzione di quest’ultima è indissolubilmente legata alla situazione industriale dei fornitori italiani e spagnoli. Un monito importante nel braccio di ferro venutosi a creare fra Italia, Francia, Spagna, che chiedono luce verde sull’emissioni degli Eurobond – titoli di debito comunitari studiati per fronteggiare la crisi economica a livello di Unione Europa –, e Olanda e Germania che, invece, vorrebbero attingere al fondo Salva-Stati per non dover condividere l’onere degli Eurobond con paesi considerati meno affidabili nella gestione dei conti pubblici e dell’indebitamento. Come il nostro, appunto.

Ma per la Germania l’industria delle quattro ruote rappresenta il 16% dell’export, il 20% del fatturato industriale e il 12% del Pil: il che potrebbe essere una leva più che sufficiente a far cambiare idea alla Cancelliera Merkel sulla necessità di aprire agli Eurobond. Nell’incontro fra costruttori e governo di Berlino è stata anche sottolineata la necessità di supportare finanziariamente i fornitori, specie quelli più piccoli, con liquidità immediata per evitare il loro fallimento e il conseguente scenario di paralisi produttiva sopra descritto.

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