Sono più di quattromila i detenuti che sono usciti dalle carceri italiane dall’inizio dell’emergenza coronavirus. Lo riferisce il Dipartimento amministrazione penitenziaria, sottolineando che il 29 febbraio i detenuti erano 61.230. Risalgono a quei giorni le prime indicazioni inviate dal Dap agli istituti per la prevenzione del contagio. Il 6 aprile nelle carceri ci sono 57.137 persone: cioè 4.093 in meno in circa un mese.

Diversi i motivi, in base all’analisi del Dap, che hanno inciso, in misura differente, sul calo di presenze: un ruolo importante è rappresentato dalla concessione degli arresti domiciliari, prevista all’applicazione delle misure del decreto Cura Italia. Alcuni detenuti sono stati rilasciati anche per motivi sanitari dovuti al contagio da coronavirus o a situazioni di incompatibilità con lo stato di salute del detenuto. Sempre per evitare il contagio si è poi ricorso più spesso a permessi concessi a detenuti in semilibertà, che possono evitare il rientro serale in istituto. Il Dap segnala infine l’improvvisa diminuzione dei reati che ha causato la conseguente riduzione degli arresti in flagranza. E dunque meno affollamento nei penitenziari.

Il comunicato del Dap, scatena la reazione dei penalisti. L’unione delle Camere penali stigmatizza il tenore della nota, perché – a dire dei legali – sembra accreditare al Cura Italia il merito delle scarcerazioni. “Il Ministero sa perfettamente che le cose non stanno così. Al contrario, questo risultato, peraltro ancora largamente insufficiente, lo si è ottenuto nonostante il decreto Cura Italia, grazie al grande impegno ed al senso di responsabilità di molti Tribunali di Sorveglianza e degli avvocati impegnati nella tutela del diritto alla salute dei propri assistiti, ricorrendo agli strumenti normativi già esistenti che il Governo ha addirittura peggiorato con la imposizione dei famosi braccialetti. Ci smentisca il Ministero – è l’invito dei penalisti-comunicando alla pubblica opinione quanti sono i detenuti scarcerati ad oggi ex art. 123 del decreto. Non giochiamo con i numeri- concludono- altrimenti dovremo prendere atto ancora una volta che la situazione è grave ma non è seria”.

Sul fronte dei contagi, 37 sono i detenuti che risultano al momento positivi. Nove di questi sono ricoverati in ospedale mentre sono 8 quelli già guariti. Tra i 38mila agenti di polizia penitenziaria sono 158 invece i soggetti positivi al tampone. Sedici sono ricoverati e dispensati dal servizio. Cinque invece i contagiati fra il personale dell’Amministrazione Penitenziaria appartenenti al comparto funzioni centrali. Fino a oggi tra le oltre 15mila vittime si conta un detenuto, deceduto a Bologna nei giorni scorsi.

All’inizio dell’emergenza, diversi penitenziari italiani avevano fatto registrare violenti ribellioni. Tra il 7 e il 9 marzo, mentre l’epidemia cominciava a diffondersi nel Paese, 22 penitenziari italiani sono esplosi in violenti ribellioni. Ingenti i danni causati alle strutture, con il governo che ha stanziato 20 milioni di euro solo per i primi lavori di recupero. Ancora più alto il prezzo umano: decine i feriti, anche tra gli agenti della polizia penitenziaria, dodici i detenuti morti, secondo le autorità tutti di overdose, dopo aver ingerito quantità esagerate di farmaci e metadone rubate nelle farmacie carcerarie. Il casus belli che avrebbe scatenato l’ira dei carcerati era lo stop ai colloqui con i familiari. Gli inquirenti, però, indagano su una possibile regia occulta della criminalità organizzata.

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