Qualche giorno fa mi ha chiamato una giornalista per chiedermi come le Social street vivono il periodo di distanza sociale e se questo isolamento forzato cambierà il modo di interagire fra le persone. Una domanda complessa.
Le Social street sono nate nel 2013 con l’obiettivo di riavvicinare le persone da un distanziamento sociale causato dal nostro modo di vivere, dall’individualismo, da una vita frenetica che spesso non fa trovare il tempo di scambiare due parole con il proprio vicino di casa. Oggi il distanziamento sociale è obbligatorio ma nelle Social street si cerca di esprimere vicinanza. Julianne Holt-Lunstad, psicologa e ricercatrice alla Brigham University nello Utah, in una recente intervista ha dichiarato: “Il solo sapere di avere qualcuno su cui poter contare può essere sufficiente a smorzare parte delle risposte allo stress, anche se quella persona non è fisicamente presente”. E’ quello che le Social street stanno cercando di fare in questo particolare momento.
Psicologi che, costretti a casa, offrono supporto ai propri vicini via Skype. C’è chi ha ordinato troppa verdura online e la condivide con i vicini lasciando i prodotti davanti al portone o semplicemente chi si offre di andare a fare la spesa per il proprio vicino anziano che magari è già affetto da altre patologie.
Secondo gli ultimi dati pubblicati sui decessi da Coronavirus, è emerso che i cardiopatici corrono maggiori rischi rispetto alle persone in salute. Allo stesso modo da uno studio del 2015 risulta che un isolamento sociale prolungato potrebbe aumentare il rischio di mortalità del 29% così come causare disturbi di altro tipo come malattie cardiovascolari, depressione o demenza. Chris Segrin, specialista del comportamento all’Arizona University su Science, ha riportato lo studio dei prigionieri statunitensi durante la guerra del Vietnam isolati in gabbie. Per molti prigionieri l’ottimismo, ovvero credere che sarebbero sopravvissuti e usciti vincenti dalla guerra, era uno dei fattori più importanti per la loro salute mentale.
In questo contesto le attività delle Social street sono molto importanti. Siamo costretti l’asocialità ma chi vive in una Social street sa di poter contare sui propri vicini. Ognuno si rende disponibile come può: visto che gli uffici comunali sono chiusi, chi dispone di sacchetti della raccolta differenziata li mette davanti la propria porta a disposizione di tutti. Vengono organizzati dei piccoli concertini sui terrazzi coordinandosi con gli altri vicini o gli aperitivi a distanza come è accaduto nella Social street Gottardo Meda a Milano, distanti ma vicini. Una conseguenza positiva di questo periodo è che si sta riscoprendo l’economia a “metro zero”. La bottega sotto casa che per tanto tempo abbiamo snobbato preferendo i centri commerciali, oggi trova una nuova vita.
Finito tutto questo la socialità tornerà ad essere come prima? Oppure i nostri comportamenti attuali forzati si sedimenteranno nelle nostre menti? Sicuramente registreremo cambiamenti permanenti, lo smartworking diventerà normalità, saremo tutti cuochi migliori, assisteremo ad un’espansione delle attività online ma la socialità, quella non cambierà mai a mio avviso perché insita nella natura umana.