Paura, speranza, consapevolezza. Così gli italiani all’estero che hanno raccontato le loro storie a ilfattoquotidiano.it vivono i giorni dell’emergenza legata al Covid-19. Dall’Australia, dove “strade e parchi sono ancora piene di gente” al Giappone, “dove tutto sembra normale”; passando per il “ritardo di due settimane nell’attivazione delle misure” del governo di Londra, a Spagna e Stati Uniti “totalmente impreparati”. Fino alla Scozia, che ha “sottovalutato il problema”. Ecco le loro voci.
C’è chi già a inizio febbraio, come Andrea Pedicini, broker immobiliare a New York, sulla scorta di quanto stava accadendo in Italia, ha deciso di rimanere a casa con moglie e figli, evitando contatti. “Ho cercato di spiegare ad amici e colleghi americani la gravità della situazione – racconta Andrea –. Gli Stati Uniti hanno fatto fatica a prendere atto dell’emergenza, anche a causa della ritrosia del governo federale di effettuare i test per diverse settimane. Purtroppo non c’è ancora piena consapevolezza della serietà del virus, sia da un punto di vista sanitario che sociale – continua –. Nel weekend del 22 marzo i parchi principali della città erano ancora pieni di gente”. È invece rimasto in Australia Luca Masetti, ricercatore a Melbourne, che però ricorda che “molte persone sono state costrette a tornare a casa” perché sono stati resi “disponibili fondi per cittadini e residenti permanenti, ma non per i temporary-residents, che sono una fetta molto importante della popolazione. Sono fortunato – dice – perché continuo a ricevere la mia borsa di studio dall’università, ma molti qui, inclusi i miei coinquilini, sono stati licenziati e non hanno soldi per pagare le spese o l’affitto”.
Se in Giappone per ora “tutto sembra normale”, spiega Giuseppe Bonfitto, c’è chi come Federico Rota, informatico, è atterrato a Madrid a inizio marzo e “sembrava di essere arrivati nel paese delle meraviglie – ricorda –. I primi interventi sono stati presi decisamente in ritardo, quando mi ero già blindato in casa per conto mio”. Stesso discorso per Luca Longo, ingegnere a Madrid. “Viviamo chiusi in casa, usciamo solo per fare la spesa – racconta –. In tanti non se la passano bene: molti amici sono stati sospesi dal lavoro fino a giugno, mentre altri sono passati al remote working con monte ore (e salario) dimezzato. La Spagna ha reagito malissimo – aggiunge –, credo sia ad oggi il peggiore tra i Paesi europei. A fine febbraio gli spagnoli non sapevano che esistesse l’emergenza, erano totalmente fuori dal mondo. Fino a metà marzo tutto era normale: partite di calcio, eventi, concerti, le strade piene di persone. Poi è venuto giù il caos. Non erano preparati”.
Anche in Scozia “all’inizio è sembrato che non si prendesse seriamente il problema – racconta Maria Lisa Di Lanzo, professoressa a Glasgow –. In Italia avevo amici in quarantena, ma qui tutto era normale e io continuavo ad andare a lavoro. La situazione è poi cambiata completamente e nel giro di qualche giorno il governo ha proclamato il lockdown. Non credevo, ma c’è tanta solidarietà – aggiunge –. Mio marito è un dipendente del NHS, il servizio sanitario nazionale. Ieri erano tutti alle finestre ad applaudirli. La Scozia è diventato un Paese più emotivo, perché tutti in un modo o nell’altro, sono o sono stati colpiti”.
C’è chi, infine, è stato costretto a rimanere in Italia. “A inizio marzo ero impegnato come primo violino con l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e in procinto di fare rientro a Londra – ricorda Fabrizio Falasca –. Sono stato contattato dalla direzione della Philharmonic Orchestra, ritenendo opportuno che io restassi nel mio Paese”. Dalle informazioni che Fabrizio riceve quotidianamente da colleghi e amici da Londra emergono “forti preoccupazioni per la lentezza e superficialità del governo nell’assumere misure adeguate a contrastare l’epidemia”.
Il futuro, per ora, è solo messo da parte. Maria Lisa non vede l’ora di tornare in Italia, per riabbracciare la sua famiglia. Fabrizio si è visto cancellare concerti, spettacoli e tournée in tutto il mondo. Andrea vede invece a New York “grosse opportunità da qui ai prossimi mesi”. Per Luca “ci sarà la più grande crisi economica del dopoguerra, che inciderà sulle nostre abitudini e il modo di stare insieme”. Federico, infine, pensa che poco o nulla cambierà: “Per ora continuo a lavorare, anche se è doveroso essere consapevoli che le aziende non possono pagare all’infinito persone che rendono la metà. Il mio pensiero – conclude – va a chi è in proprio, ai professionisti, agli esercenti, ai tanti italiani che lavorano nella ristorazione: per quanto potranno andare avanti loro?”.