Che mondo sarebbe senza la povertà? Un mondo in cui ad ogni individuo viene garantito il diritto ad avere per sé e per la propria famiglia un reddito sufficiente a soddisfare i propri bisogni primari come avere una casa, il cibo, vestiti, l’accesso alla cultura, alla sanità. Eppure la ricchezza prodotta complessivamente del mondo, unita al progresso tecnologico, renderebbe tutto questo possibile.

Servirebbe un sistema fiscale globale in grado di redistribuire una parte della ricchezza accumulata nelle mani di una sparuta minoranza di esseri umani per raggiungere gli obbiettivi di sostenibilità 2030 delle nazioni unite sul contrasto alle disuguaglianze.

Ma se questo traguardo sembra difficilmente realizzabile su scala globale, è invece a portata di mano oggi in Europa. La ricchezza prodotta in Europa, infatti, se tassata in modo proporzionale, chiedendo di contribuire un po’ di più a chi ha patrimoni sopra il milione di euro, potrebbe tranquillamente produrre un gettito in grado di garantire un reddito universale a tutti i cittadini che non lasci nessuno sotto la soglia di povertà, e che magari dia anche qualche strumento in più di emancipazione agli strati più deboli delle nostre società.

Ebbene, se fino ad oggi non c’è stato il coraggio di affrontare apertamente questa discussione io credo che oggi la crisi che si prospetta davanti a noi la renda irrimandabile.

In questi giorni, ci ripetiamo che passata l’emergenza nulla sarà più come prima. Ci sentiamo più soli e impauriti ma ognuno di noi, in modo diverso, è impegnato a dare il proprio contributo. Chi sul fronte dell’emergenza sanitaria, chi lavorando per garantire i servizi essenziali e chi restando a casa per cercare di arrestare la diffusione, limitando i contatti.

Sappiamo che il virus è imparziale, colpisce da nord a sud, da est a ovest, una pandemia che non avremmo immaginato di vedere. La crisi economica che ne conseguirà però non sarà per nulla imparziale e colpirà più duramente i più fragili, i lavoratori precari o intermittenti, i ceti popolari. Migliaia di persone oggi, durante la quarantena ma soprattutto dopo, quando la macchina proverà a ripartire a piccoli passi, rischiano di non avere la possibilità di vedere garantiti i diritti essenziali quotidiani.

Il Coronavirus ci pone davanti ad una vera e propria emergenza che non può essere affrontata con gli schemi del passato: migliaia di famiglie nel nostro Paese rischiano di scivolare velocemente verso la povertà assoluta e chi già si trovava in difficoltà oggi rischia di non farcela. Parliamo di milioni di cittadini italiani ed europei (sono convinto che il nostro destino sia comune) che tra qualche giorno non sapranno come mettere a tavola la cena.

Non siamo più nella fase dentro la quale la discussione si può sviluppare sul binario classico della riforma degli ammortizzatori sociali, ma siamo di fronte ad punto di flesso che ci restituisce tutta la drammaticità del presente e deve costringere il governo e tutte le forze politiche a ragionare di diritti universali garantiti per tutte e tutti. Adesso.

La priorità è dunque quella di garantire continuità di reddito alle persone. Per farlo, al netto di ogni discussione, la cosa più semplice e immediata da fare è quella di estendere subito il reddito di cittadinanza, semplificarne le misure e garantirlo a chiunque si trovi in difficoltà, a prescindere dall’appartenenza a categorie di lavoro o non lavoro.

In questi giorni diversi esponenti politici (sono cofirmatario di un appello promosso da alcuni rappresentanti della Sinistra italiana) e organizzazioni della società civile si sono espressi su questo dibattito, dalla rete Bin fino al Forum Diseguaglianze e Diversità di Fabrizio Barca e l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile di Enrico Giovannini. Queste ultime insieme hanno elaborato la proposta del Rem (Reddito di Emergenza).

Con Fabrizio Barca, Enrico Giovannini e Cristiano Gori ne abbiamo discusso qualche giorno fa in un incontro di parlamentari di maggioranza e opposizione promosso, insieme a me, da Rossella Muroni (Leu), Alessandro Fusacchia (Misto), Lia Quartapelle (Pd) e Paolo Lattanzio (M5S), con cui portiamo avanti, da qualche mese, un’alleanza trasversale nella maggioranza che abbiamo chiamato 5×5.

Nella discussione è emersa chiaramente la visione sistemica della misura e il riconoscimento che gli strumenti attualmente in vigore non bastano per raggiungere le fasce di popolazione più colpite dalla crisi in questo momento, almeno con i criteri e le limitazioni in essere. Per questo serve una semplificazione delle procedure, la modifica dei vincoli legati al patrimonio, l’allentamento delle sanzioni legate alla condizione di lavoro irregolare e la riduzione dei tempi per l’accesso a persone prive della cittadinanza italiana con un nuovo strumento da affiancare al reddito di cittadinanza per i prossimi mesi.

Credo che si debba partire da qui, da questa consapevolezza e dall’urgenza di affrontare la crisi che incombe su milioni di persone. Il governo e le forze politiche tutte hanno il dovere di collaborare oggi per trovare le risorse necessarie. Un reddito di emergenza è oggi l’unica misura per far sì che nessuno resti indietro, che nessuno venga schiacciato dal peso di questa violentissima crisi. Un provvedimento che oggi serve a far fronte all’emergenza ma che potrebbe essere in futuro la base per progettare un nuovo welfare.

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