Il crollo del muro con la caduta dell’Unione Sovietica avrebbe creato secondo un’idea ricorrente un nuovo ordine mondiale; ma così non è stato, al contrario è in atto una terza guerra mondiale a pezzi. La denuncia di Papa Francesco è l’incipit della discussione, svoltasi l’11 febbraio scorso, tra Matteo Zuppi, Cardinale di Bologna, e Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes. Il luogo dell’incontro è la Casa della pace la Filanda di Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna.
Caracciolo: il Papa lancia un sasso nello stagno, non c’è per fortuna una guerra mondiale nel vero senso del termine ma c’è un tale quantità di conflitti, circa trenta in questo momento, a volte totalmente ignorati dall’informazione come ad esempio quello in Congo, in cui sono morte milioni di persone.
Il muro disegnava un ordine e la guerra fredda aveva mantenuto una pace relativa tra le grandi potenze, esportando però i conflitti nelle periferie del mondo: i muri in determinate circostanze possono servire ad evitare il peggio. Ora la guerra avviene in territori che non sono nemmeno Stati, senza più limiti di spazio e di tempo. La guerra diventa asettica come nel recente attentato a Soleimani, generale iraniano assassinato con un intervento “chirurgico” comandato ed eseguito a migliaia di chilometri di distanza.
Zuppi: Per comprendere questa situazione occorre approfondire la conoscenza della storia. Non è facile mettere insieme tanti frammenti, in cui sembra ci sia un disordine e invece c’è un ordine logico. La frase del Papa ci costringe a capire le tante crisi carsiche, a bassa intensità, che sembrano tanto lontane da noi. Il concetto deve intendersi che i conflitti per la loro vastità ci riguardano tutti, perciò mondiali.
Oggi le guerre scoppiano senza essere dichiarate e l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha pressoché perso ogni funzione. Riguardo ai muri è vero che in talune situazioni, come in Bosnia, è meglio ci siano, ma comunque come dice il Papa noi dobbiamo impegnarci a costruire ponti e non muri. Si possono considerare come delle anestesie in certe situazioni ma solo se provvisorie. Francesco ha dichiarato nel recente viaggio a Nagasaki e Hiroshima che il solo possedere le armi atomiche è peccato.
Xenofobia e odio razziale
Caracciolo: la radice dell’odio è la paura. La paura si governa con istituzioni responsabili e trasparenti, anche se in Cina, a onta della sua enorme influenza, non c’è molta trasparenza. Occorre più rispetto per le regole, e darsi un senso più umano e responsabile, lo Stato serve ad assorbire la violenza diffusa negli individui. Occorre coltivare la curiosità verso il mondo, occorre capirlo se ci descrivono fenomeni ingigantendoli come l’invasione di migranti dall’Africa. È importante conoscere le situazioni e informarsi anche delle vite delle persone.
Zuppi: aggiungerei oltre all’odio, la paura della diversità. Cominciò Caino odiando Abele perché era il prediletto. Oggi patiamo un’ignoranza interconnessa che è più complicata perché ci fa credere di sapere, mentre non sappiamo niente di fronte alle complessità. E come se ne esce? Con la conoscenza, l’educazione, l’attenzione, sottrarsi all’ignoranza del mondo.
L’odio sembra inerte ma poi rispunta, come per l’antisemitismo che appare morto e invece si ripresenta sempre sulla scena. Viviamo come in un paesello attraversato da un fiume e quelli che abitano dall’altra parte sono “diversi”. L’altro aspetto che mi sembra importante è il senso di universalità e di interesse per la “casa comune”, sul Coronavirus mi ha colpito che non c’è una posizione europea unitaria, mi sembra un grande limite. Dovremmo impegnarci perché l’Europa sappia coordinarsi. Come dice Francesco “non ne usciamo da soli”.
Le divisioni nella Chiesa
Caracciolo: Don Matteo parla senza veli di crisi di fraternità all’interno della Chiesa, anche se non credente sono romano e quindi ovviamente preoccupato di quel che accade nella chiesa di Roma. Il fatto che ci sia una crisi piuttosto profonda non è poco, la Chiesa è un’istituzione fondamentale per l’equilibrio complessivo, le differenze si stanno acuendo. Forse non si arriverà allo scisma ma si coltivano molte autoreferenzialità. In questo senso la definizione della chiesa come “ospedale da campo” può andar bene fino a un certo punto, ma poi ci vogliono anche gli “ospedali in muratura” per difendere l’Istituzione: occorre rafforzarne la struttura.
Zuppi: l’opacità è il problema, Lucio dice la Chiesa è una delle pochissime realtà sovranazionali che non ha interessi che ha una forza etica e universalistica, che aiuta a superare i nazionalismi tra culture e identità. Poco più di cento anni fa un Papa, che era stato vescovo di Bologna (Benedetto XV), definì la guerra “un’inutile strage” e lo fecero a fette.
Nella Chiesa è maturata la scelta della pace, con la Pacem in terris di Giovanni XXIII e con Paolo VI che nel discorso alle Nazioni Unite disse “qui c’è il mondo”. Si diceva dei problemi interni alla Chiesa, a riguardo faccio un esempio geometrico: Francesco dice “la Chiesa non è una sfera, è un poliedro” nel senso non è un denominatore comune che tutto allinea e conforma ma deve cercare di tenere insieme tante realtà diverse.
La sfida del poliedro è molto grande, puoi reggerla solo con un’unità più forte. Considerare le diversità non significa esaltare gli individualismi, l’espressione ospedale da campo Papa Francesco la usa intendendo che il mondo è sofferenza e noi, la Chiesa, non possiamo tirarci fuori: dobbiamo metterci in mezzo. Francesco non vuole scardinare la struttura della Chiesa ma metterla alla prova. Arriva il Coronavirus e capisci che la tragedia è di tutti. Se pensiamo a quanto siano diventati importanti gli ospedali da campo cogliamo il senso profondo di questa discussione.