Il presidente dell’Abi Patuelli: "Si è data l’errata sensazione dell’immediatezza, molti imprenditori hanno subito telefonato agli istituti. Ma il decreto non è ancora in Gazzetta e per le operazioni con garanzia dal 90% in giù servirà una pratica di fido ordinaria". Il sottosegretario Turco: "Tempi dimezzati rispetto ai 100 giorni necessari normalmente". Messina (Intesa): "Gli imprenditori con notevole ricchezza accumulata in Italia o all'estero dovrebbero lasciare le garanzie di Stato ai settori deboli e far tornare i loro soldi nelle aziende"
In attesa che il decreto per fornire liquidità alle imprese messe a dura prova dal lockdown, varato dal governo lunedì, sia pubblicato in Gazzetta ufficiale, banche e aziende si muovono per capire che impatto avrà il provvedimento sull’erogazione di credito. Stando alle prime reazioni le garanzie pubbliche previste dalle ultime bozze velocizzeranno molto solo i prestiti sotto i 25mila euro, che potranno essere erogati quasi senza passaggi burocratici a pmi e partite Iva, ma per cifre più consistenti i tempi non saranno brevissimi. L’Abi avverte che prima di tutto occorre ottenere il via libera Ue allo schema, e poi su gran parte dei prestiti occorrerà attendere l’esito dell’istruttoria della banca. Il sottosegretario all’Economia Alessio Villarosa si dice “stupito”, ma Mario Turco, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, spiega che la semplificazione dell’iter potrà al massimo ridurre da 100 a “30-50 giorni” il tempo di approvazione di una pratica medio grande.
“Apprezzo gli sforzi del governo e il decreto è un passo avanti considerevole rispetto a quello del 17 marzo”, premette il presidente dell’Abi Antonio Patuelli intervistato da Milano Finanza. Ma “nella comunicazione si è data l’errata sensazione dell’immediatezza della distribuzione della liquidità, il che ha portato stamattina molti imprenditori a telefonare alle banche per chiedere come fare per ottenerla”. E a queste domande “non si è potuto rispondere con delle certezze innanzitutto perché il decreto ancora non è in Gazzetta” ma anche perché “le garanzie della Sace”, che gestirà quelle per le imprese con più di 499 dipendenti,“richiedono il via libera dell’Unione europea” visto che sono configurabili come aiuti di Stato, anche se Bruxelles in questa fase ha deciso di ammorbidire di molto le regole.
Superata quella tappa, “verosimilmente si avrà la possibilità di compilazione più rapida per i prestiti coperti da garanzia statale al 100%”, cioè solo quelli fino a 25mila euro assistiti dal Fondo di garanzia per le pmi, “mentre sarà sostanzialmente una pratica di fido ordinaria per quelle con garanzia dal 90% in giù”. Anche quelli tra 25mila e 800mila euro coperti al 100% grazie a un 10% di garanzia dei Confidi “non ci sarà la stessa corsia rapida” garantita per le pratiche più piccole.
Villarosa (M5s) ha commentato con una nota in cui si legge che “mantenere intatto l’iter pregresso significherebbe meramente traslare sullo Stato il rischio d’impresa del sistema bancario. Se queste sono le condizioni valutiamo seriamente la possibilità di intervenire con un ente creditizio pubblico per la predisposizione dei finanziamenti”. Il pentastellato Mario Turco però, proprio su Mf, conferma che con l’eccezione dei prestiti sotto i 25mila euro i tempi saranno rapidi solo in confronto con quelli richiesti oggi per ottenere un prestito: “Confidiamo che le linee assistite da garanzie Sace o Mcc abbiano una corsia più rapida dei 100 giorni che possono essere necessari normalmente”, per questo “auspichiamo la creazione di una task force operativa tra Abi, Sace e Mcc per raggiungere l’obiettivo”. Per ora la previsione è che “i tempi si possono dimezzare. Una pratica medio grande si potrà concludere in un periodo massimo di 30-50 giorni”.
Dal canto suo l’ad di Intesa Sanpaolo Carlo Messina intervistato da Repubblica dice che il decreto consente alla banca di aumentare da 15 a 50 miliardi il “plafond per il nuovo credito” ma sottolinea che i prestiti assistiti da garanzie pubbliche “devono servire solo per pagare affitti, fornitori e preservare l’occupazione. E non a rafforzare imprese che finora si sono mosse egregiamente sui mercati. I proprietari di queste imprese, spesso imprenditori con notevole ricchezza accumulata in Italia o all’estero, dovrebbero lasciare le garanzie di Stato ai settori deboli e rispondere a un altro imperativo morale. È l’ora di far tornare i loro soldi nelle aziende, ricapitalizzarle per contribuire ad accelerare il recupero del Paese. E il governo, con una visione pragmatica, dovrebbe studiare il rimpatrio di quei fondi dall’estero, agevolandoli se sosterranno le imprese italiane”.