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Coronavirus, l’appello: “Usare i 40 miliardi di patrimonio delle fondazioni bancarie per arginare gli effetti della crisi economica”

La lettera di autori, storici, economisti ed ex componenti di cda degli enti al Ministero dell’Economia e all’Acri, l'associazione delle fondazioni e delle casse di risparmio: “Non si chiedano ulteriori sforzi ai cittadini quando possiamo attingere a un patrimonio che già gli appartiene. Le fondazioni lo mettano a disposizione senza esitazione. La storia gliene renderà merito"

Pubblichiamo l’appello di autori, storici, economisti ed ex componenti dei consigli d’amministrazione di alcune fondazioni bancarie (qui il link su change.org). Un suggerimento per combattere la crisi economica provocata dall’emergenza legata al coronavirus: usare i 40 miliardi di patrimonio pubblico gestito dalle stesse fondazioni. E quindi finalmente ripensare il ruolo di un soggetto spesso sconosciuto ai cittadini, ma che è uno dei protagonisti del nostro sistema economico. Nelle disponibilità delle fondazioni bancarie, create dalla legge Amato nel 1990, ci sono infatti beni che oggi valgono circa 40 miliardi di euro. La richiesta è indirizzata al Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’Acri, l’associazione delle fondazioni e delle casse di risparmio, affinché istituiscano una task force per liberare le risorse necessarie.

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L’emergenza economica e sanitaria che stiamo affrontando è un fatto del tutto inedito per il nostro Paese e ci impone di trovare soluzioni altrettanto inedite per venirne a capo. Le recenti vicissitudini europee testimoniano chiaramente che non possiamo fare affidamento su una risposta compatta da parte dell’Unione Europea.

Le risorse per far fronte a questa crisi epocale, dunque, vanno ricercate prima di tutto all’interno della nostra economia. Per questo motivo è quanto mai necessario ripensare al ruolo di un soggetto spesso sconosciuto ai cittadini, ma che è uno dei protagonisti del nostro sistema economico e tra i pochi ad avere un tesoro immediatamente utilizzabile in questo momento: le fondazioni bancarie. Con 40 miliardi di euro di patrimonio, le fondazioni bancarie sono chiamate ad arginare gli effetti devastanti di questa crisi senza precedenti. Ce lo devono.

Non ci dimentichiamo che stiamo parlando di un patrimonio di origine pubblica, che ci appartiene. Appartiene a tutte le comunità locali che negli anni lo hanno costruito attraverso sacrifici e risparmi e che nel 1990 la Legge Amato ha deciso di consegnare nelle mani delle fondazioni bancarie per finanziare l’arte, la sanità, la cultura e le emergenze sociali.

Da quel momento, tuttavia, queste risorse collettive sono state gestite spesso in modo discrezionale e arbitrario a causa del perfido malinteso fra la natura giuridica “privata” di questi enti e l’origine “pubblica” del loro patrimonio. Negli anni infatti abbiamo assistito a giochi di potere bancario, sprechi, speculazioni, investimenti discutibili e compensi generosi. Miliardi di denaro collettivo ormai perduti che, in questo periodo delicatissimo, sarebbero tornati molto utili per sostenere la sanità pubblica. Tuttavia, oggi, le fondazioni bancarie continuano a rappresentare la parte più ricca della filantropia italiana e a detenere un patrimonio enorme che deve essere utilizzato senza esitazione per salvare l’Italia dalla pandemia e rilanciare la ricostruzione. Adesso.

Ad oggi sappiamo che sono stati stanziati dalle fondazioni bancarie circa 80 milioni di euro per far fronte alla crisi sanitaria. In alcuni territori gravemente colpiti, le fondazioni locali sono state capaci di mettere sul piatto poco o nulla. Ci sentiamo di dire che non basta. Solo rinunciando ai prossimi due anni di stipendi e gettoni di presenza i vertici delle fondazioni bancarie potrebbero quasi raddoppiare istantaneamente la cifra stanziata. Il sistema delle fondazioni deve fare di più.

Per questo oggi vogliamo lanciare un appello Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’ACRI, affinché istituiscano una task force che intervenga per liberare le risorse necessarie agendo su questi tre fronti:

Un fondo nazionale ad hoc. Il loro patrimonio potrebbe garantire la concessione di prestiti alle imprese, come suggerito dall’economista Tito Boeri, o ancora essere usato come garanzia per l’emissione di titoli di Stato a lunga scadenza per finanziare la ripresa economica post pandemia, o ancora reinvestito in titoli di Stato.

Razionalizzazione delle erogazioni e riallocazione delle risorse. Occorre riallocare in via straordinaria le risorse previste per le erogazioni 2020 e 2021 dai temi non prioritari alle emergenze del sistema sanitario, economico e sociale.

Stipendi ed emolumenti azzerati. I vertici delle fondazioni diano un segnale forte: rinuncino agli emolumenti relativi al 2020 e 2021. Solo per il 2018 i costi degli organi statutari (Presidenti, membri dei cda, comitati di indirizzo e revisori dei conti) sono ammontati a 34,4 milioni di euro. I vertici delle fondazioni bancarie, spesso professionisti già affermati nei loro campi, facciano come nelle grandi charities internazionali, dove l’attività filantropica si presta gratuitamente, al servizio della società. Solo con i circa 60 milioni di euro previsti per i vertici negli anni 2020-2021 si potrebbero finanziare, per esempio, più di 700 posti in terapia intensiva.

Non si chiedano ulteriori sforzi ai cittadini quando possiamo attingere a un patrimonio che già gli appartiene. Le fondazioni lo mettano a disposizione senza esitazione. La storia gliene renderà merito.

La petizione su change.org

PROPONENTI

Alessandro di Nunzio – Autore del libro-inchiesta sulle fondazioni bancarie “I Signori delle città”

Diego Gandolfo – Autore del libro-inchiesta sulle fondazioni bancarie “I Signori delle città”

Riccardo Calimani – Scrittore, storico, ex membro della Fondazione di Venezia

Leone Sibani – ex presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

Carlo Pagotto – ex consigliere Fondazione Cassamarca di Treviso

Ugo Mattei – giurista e accademico

Tomaso Montanari – Storico dell’arte, accademico e saggista

Francesco Fimmanò – Vice presidente della Corte dei Conti, giurista, accademico

Sergio Noto – Professore di Storia Economica presso l’Università di Verona