Scienza

Coronavirus, non possiamo prevederne il decorso. Ma considerare i precedenti sì

Le pandemie sono eventi naturali e ricorrenti: ogni tanto un virus o un batterio subisce una mutazione, cambia le sue caratteristiche immunogeniche o di virulenza e ne causa una; e certe volte neppure si prende la briga di cambiare qualcosa. Chiedersi cosa sia accaduto nel genoma virale, e dove, è un quesito che ha grande interesse per chi studia la biologia molecolare dei virus e dei batteri ma scarso interesse per il pubblico. Ovviamente noi non siamo in grado di prevedere con precisione il decorso della pandemia da Covid-19 attualmente in corso, ma possiamo imparare molto, per somiglianza o per differenza, dalle pandemie del passato recente, anche se dovute a virus diversi, perché la risposta degli individui e delle popolazioni dipende in parte da meccanismi difensivi dell’ospite che sono costanti. Una pandemia recente che è stata studiata in modo approfondito è l’influenza H1N1, variante pdm09, del 2009.

La pandemia di influenza del 2009 iniziò negli Stati Uniti (una pandemia può iniziare in qualunque luogo, con buona pace di chi oggi accusa le abitudini alimentari dei cinesi), e si estese in gran parte del mondo. Nei soli Stati Uniti causò oltre 60 milioni di casi e oltre 12mila decessi, e in tutto il mondo un numero di decessi difficilmente precisabile ma compreso tra 150mila e 550mila.

Il virus dell’influenza è un orthomyxovirus (quindi non un coronavirus) ma i sintomi della malattia del 2009 e quelli dell’attuale un po’ si assomigliano, in particolare per l’interessamento prevalente dell’apparato respiratorio. Le pandemie influenzali, al contrario dell’attuale, non sono contenibili: la contagiosità del virus è troppo elevata. Come ha detto il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a proposito del Covid-19: “Non avevamo mai visto prima un virus respiratorio trasmesso a livello di comunità, ma che può essere contenuto con misure specifiche. Se fosse stato influenza non sarebbe stato possibile farlo …”.

La letalità della pandemia del 2009 (il rapporto tra deceduti e malati) fu bassa, molto inferiore a quella dell’epidemia di oggi, soprattutto perché la malattia colpiva in grande prevalenza individui giovani, che possiedono funzionalità d’organo e difese migliori degli anziani. Anche con una bassa mortalità, se i giovani sono colpiti in prevalenza il numero di anni di vita che una malattia sottrae all’umanità è grande. I casi con età superiore ai 65 anni furono rari perché molti anziani possedevano anticorpi contro il virus, frutto di una sensibilizzazione precedente, risultante da una epidemia di influenza che doveva essersi verificata intorno al 1960. Infatti il virus influenzale va incontro a frequenti mutazioni e l’influenza di ogni anno è dovuta ad un virus antigenicamente diverso da quello dell’anno precedente; però apparentemente il repertorio antigenico che il virus può esplorare è limitato e il virus di un certo anno può essere molto simile ad uno che lo ha preceduto di parecchi (o pochi) anni. I dati epidemiologici del 2009 dimostrano chiaramente che noi acquisiamo immunità permanente o comunque di lunga durata contro le influenze delle quali ci ammaliamo.

La pandemia del 2009 negli Usa colpì circa un quarto della popolazione; anche tenendo conto dell’immunità di gran parte degli ultrasessantenni, la maggioranza della popolazione non immune fu risparmiata, per ragioni che non ci sono completamente chiare. Questo dato è relativamente costante: la pandemia di influenza del 1918 (spagnola) nel corso di circa due anni colpì un terzo della popolazione mondiale dell’epoca, con una letalità superiore al 5%. Non ci è chiaro perché l’epidemia si estinse, nonostante i due terzi della popolazione mondiale non fossero stati immunizzati. Molto probabilmente la variabilità genetica della popolazione fa sì che gli individui non immuni non siano tutti ugualmente suscettibili all’infezione; inoltre forse si era verificato nel 1918 qualcosa di analogo a ciò che sarebbe accaduto nel 2009 e una quota della popolazione era immune a causa di una pandemia precedente. In ogni caso le stime che ipotizzano incidenze del 60-80% sono intenzionalmente pessimistiche, e molto spesso il tasso di contagio risulta alla fine inferiore a quanto inizialmente paventato.

E, in parallelo, dopo che l’epidemia è passata, la grande paura viene dimenticata: chi si ricorda oggi della pandemia del 2009 e delle sue 150mila-550mila vittime? Purtroppo far passare i danni collaterali è più difficile: se si aumenta il debito pubblico, gli interessi in eccesso si pagano finché non lo si è riportato al livello pre-epidemico; se le piccole imprese e gli esercizi commerciali falliscono, recuperarli è difficile; se il tasso di occupazione diminuisce a causa delle misure antiepidemiche, non ci sono ricette certe per reimpiegare i disoccupati. Eccetera.

Come andrà a finire la pandemia attualmente in corso? Passerà anche questa, come sono passate tutte quelle che l’hanno preceduta e come tutte quelle che la seguiranno. Lascerà dietro di sé molti morti, senza dubbio, come è accaduto nelle altre pandemie. Ma nonostante questo, anche nell’anno dell’epidemia, probabilmente moriranno più persone di malattie cardiovascolari o di tumori che di coronavirus.