La CureVac ha rifiutato i miliardi di Donald Trump pur di non vendere agli Stati Uniti l'esclusiva del brevetto del medicinale: un gesto che però non è bastato a far diminuire l'avversione dello sport tedesco contro il patron della società e anche dell'Hoffenheim. Il motivo? La cultura calcistica e l'organizzazione del pallone in Germania, dove i soldi - fino all'arrivo di Hopp - non erano tutto
Chissà che espressione si è aperta sul volto dei tifosi tedeschi quando nelle scorse settimane hanno letto sul giornale Sueddeutsche Zeitung la notizia che la società CureVac ha iniziato degli studi per trovare finalmente un vaccino contro il Corona Virus e che avrebbe addirittura detto no a Donald Trump, che in grande segreto aveva provato a comprare quel vaccino e portarlo negli Stati Uniti. Una notizia felice, che potrebbe portare del bene non solo ai tedeschi ma a tutto il mondo. Ma a far storcere il naso a tutti i tifosi di Germania non è il cosa, ma il chi.
CureVac è una delle tante società controllate da Dietmar Hopp, semplicemente l’uomo più odiato di Germania. Hopp è un miliardario che ha fatto fortuna, a inizio anni ’70, fondando la SAP SE, una società di sviluppo informatico creatrice di alcuni dei sistemi gestionali più comuni in tutti i computer moderni. In breve tempo Hopp si è arricchito, tanto da essere considerato da Forbes il 96esimo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di oltre 13 miliardi di dollari. Una buona fetta di quei soldi, a oggi più di 300 milioni, Hop ha deciso di investirli nel suo amore giovanile: l’Hoffenheim, squadra in cui ha giocato brevemente e di cui è da sempre tifoso. La società, che prende il nome dalla città in cui è stata fondata, ha tutt’altro che un passato glorioso nella storia del calcio tedesco. Quando Hopp decise di investire nell’Hoffenheim, la squadra militava nella sesta categoria. Negli anni, grazie ai milioni di Hopp, l’Hoffenheim ha iniziato la sua scalata al calcio che conta, arrivando in Bundesliga nel 2008 e in Champions League nel 2017.
Una storia che ha tutti gli elementi per fare di Hopp un idolo e un simbolo di come competenza e potere economico possano portare una squadra di una cittadina di appena 3mila abitanti dalla periferia alla Manhattan del calcio europeo. Eppure Hopp oggi ha molti più nemici che amici nel calcio tedesco. Per capire il perché di questo diffuso astio bisogna prima prima comprendere come sia strutturato lo sport in Germania. Le parole chiave sono: Eingetragen Verein, traducibili con Associazione Registrata e siglate con e.V. Tutte le società sportive tedesche hanno, nel loro nome completo, questa sigla alla fine ed è il concetto su cui si basa tutta la cultura sportiva in Germania. Le squadra di calcio rappresentano solo una costola di queste associazioni, così come il basket, il calcio femminile, l’hockey e tutte le altre discipline fino ad arrivare ad attività ludiche come le bocce o biliardo. Chiunque può iscriversi a queste associazioni pagando una quota annuale. Questo fa dei tifosi dei soci.
Un rapporto, quello tra società e soci, molto vivo e fatto di una costante e reciproca attenzione. La natura di questa filosofia ha le sue radici nella storia culturale della Germania: il primo caso di associazionismo risale al 1300, quando gruppi di persone si unirono per festeggiare il carnevale. A inizio ‘800 questo genere di gruppi ha smesso di organizzare solo feste, dando a quelle associazioni una natura economica: le Zollverein, unioni doganali che avevano lo scopo di facilitare il commercio del carbone nelle varie regioni della Germania. Nei primi ‘900, quando il calcio ha iniziato a diffondersi in tutto il continente, è entrato inevitabilmente anche lì. Club come lo Shalcke 04, fondato nel 1904 da minatori di origine polacca, nascono proprio per dare uno sfogo sportivo ai vari soci, che altro non erano che minatori. Su questo schema poi sono nate tutte le altre società tedesche. Questo sistema fa sì che i tifosi non siano semplici fruitori delle partite, ma parte attiva di tutta la società, che possono vivere 7 giorni su 7. Esiste un forte cordone ombelicale tra la squadra e la città.
La più grande associazione oggi in Germania è il Bayern Monaco con circa 280mila soci. Questo sistema permette al club bavarese, ad esempio, di ottenere molti più introiti dagli sponsor rispetto ad altri club simili sia per palmares che per abitanti, come la Juventus. Ogni socio compra la maglietta, la sciarpa, le mutande del club, perché rappresentano un simbolo di appartenenza. Quando a fine anni ’90 il calcio mondiale ha preso una strada ben precisa, facendo dell’aspetto economico uno dei più importanti per determinare il successo dei club, la federazione tedesca ha deciso di inserire una nuova regola: queste associazioni potevano avere anche degli investitori privati, a patto che il 50+1% delle quote totali restasse nelle mani dei soci. Tutti i club hanno quindi iniziato a gestirne una parte in questo senso, incanalando ingenti investimenti nei settori giovanili e nelle prime squadre. Il Bayern Monaco, per completare il quadro, ha venduto il 24,9% delle sue quote a Adidas, Allianz e Audi, tutte con l’8,3% a testa, lasciando quindi il resto nelle mani dei soci.
In questo contesto però, ci sono delle eccezioni: Bayer Leverkusen e Wolsfburg sono due società strettamente collegate alle aziende che hanno alle spalle (Bayer e Volkswagen), che controllano la società. Attorno a loro però sono anche nate le associazioni, formate dai lavoratori delle fabbriche. Quindi in questo caso il risultato è diverso, perché grossi investitori hanno le redini del club, ma la struttura alla base è sempre quella dall’associazionismo. La federazione tedesca poi ha aggiunto un’altra deroga: se un presidente, a patto che abbia gestito il club per almeno 20 anni e che si sia è distinto per abilità e successi, se votato da tutti gli altri soci, può essere confermato alla guida del club, sospendendo di fatto la legge del 50%+1. Ed è esattamente quello che è successo con Hopp, che dal 2015 ha il 96% delle quote dell’Hoffenheim. Insomma, l’Hoffenheim è cosa sua e lui può fondamentalmente farci quello che vuole. Questo è il primo fattore che ha creato antipatia nei tifosi tedeschi, che però dovevano indirizzarla su di lui e suoi soci del club, dato che sono stati loro a votare e realizzare di fatto questa specie di colpo di stato.
L’antipatia però nei confronti di Hop si è tramutata in odio successivamente, come spiegano i ragazzi delle Brigate Garibaldi, fan club italiano-tedesco del St. Paoli, una delle realtà in cui l’associazionismo è più sentito. Negli ultimi anni in molti stadi i tifosi hanno iniziato a intonare cori ed esporre striscioni contro il presidente dell’Hoffenheim; questo è andato di corsa a lamentarsi con la federazione, della quale nel frattempo era diventato sponsor. La DFB si è mostrata fin da subito molto sensibile alla questione, ammonendo e multando tutte le società. L’antipatia per Hopp però non è prerogativa solo dei tifosi, dato che anche i dirigenti dei club hanno iniziato a storcere il naso: il DS del Borussia Dortmund, Michele Zorc, ha definito “squadra di plastica” l’Hoffenheim, intendendo plastica con artificiosa, falsa. Negli anni però gli insulti a Hopp si sono fatti sempre più duri e lui ha iniziato ad accusare di razzismo i tifosi tedeschi. La federazione, ancora una volta, si è dimostrata molto sensibile alla vicenda, arrivando a vietare ai tifosi di molte squadre la possibilità di andare a Hoffenheim a sostenere la propria squadra. Da qui il fastidio verso Hopp diventa vero e proprio odio: l’accusa principale dei tifosi è che la federazione sia colpevole di non avere la stessa attenzione che mostra per i cori contro Hopp nei confronti dei veri insulti razzisti, che anzi vengono spesso ignorati, come successo al difensore dell’Hertha Berlino Jordan Torunarigha, vittima di ululati e cori rimasti impuniti. Hopp viene visto come un privilegiato che ha comprato il suo potere con i soldi.
Tutto questo è culminato con i fatti del febbraio scorso nella partita Hoffenheim-Bayern Monaco, quando dopo i continui striscioni e insulti contro Hopp la partita è stata sospesa. Uno striscione recitava: Du Hurensohn (letteralmente figlio di…, con l’H e la D bianche e blu, i colori dell’Hoffenheim). La partita è poi ripresa, ma i giocatori delle due squadre hanno passato i restanti 13 minuti a passarsi la palla in mezzo al campo, in segno di disprezzo verso il comportamento dei tifosi. La dirigenza del Bayern ha definito questa vicenda uno dei punti più bassi del calcio tedesco, ma ai tifosi importa poco. Hopp continua ad ampliare i propri interessi (dall’anno prossima la sua società SEP sarà sponsor del Bayern Monaco Basket) e la federazione continua a stare dalla sua parte, voltando però le spalle alla cultura sportiva tedesca. Essere in prima linea per creare un vaccino per il Corona Virus è un gesto degno d’onore, ma non basterà agli appassionasti di sport tedeschi per cambiare idea sulla figura di Hopp. Tifosi, anzi soci, che hanno dichiarato guerra a questa nuova mercificazione del calcio.