La Fiom contro “le pressioni di Confindustria” per far ripartire le attività. Intervenuta a Coffee Break, leader della Federazione Impiegati Operai Metallurgici, Francesca Re David, ha commentato l’appello con cui le Confindustria del Nord hanno chiesto al governo di accelerare la fine del lockdown: “Le pressioni di Confindustria e degli industriali sono cieche. Più dura l’epidemia, più a lungo l’economia non si riprenderà. Deve essere la comunità scientifica a dirci quando sarà il momento di riaprire”.
L’accusa mossa da Re David è quella di mettere davanti il profitto alla salute delle persone, compresa quella degli operai: “Pensare di rimettere in moto le fabbriche contemporaneamente e senza le necessarie misure per tutelare la salute e la sicurezza sul territorio, oltre che nei luoghi di lavoro, significa mettere davanti il profitto”, continua la sindacalista chiedendo invece di “programmare la ripartenza ma senza fare forzature come di nuovo sta tentando di fare Confindustria”.
A stupire la rappresentante Fiom è che proprio le Confindustria del Nord, che rappresentano le aziende operanti nelle aree più colpite dalla pandemia di coronavirus, si mettano alla testa di una proposta del genere: “Le regioni del Nord sono proprio i territori in cui il disastro sanitario sta impattando di più, anche perché non sono state fatte le chiusure delle imprese nell’immediato, Bergamo ne è la dimostrazione – prosegue – Se tutta la comunità scientifica ci dice che sono da evitare gli spostamenti, dobbiamo considerare che nelle Regioni del Nord la mobilità è fortemente determinata dalle fabbriche”.
Per poter pensare a delle riaperture è necessario “ripensare le fabbriche“, conclude Re David, prevedendo i distanziamenti, le sanificazioni, le riduzioni dell’orario di lavoro per salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori, anche quelli degli appalti: “In questo senso stiamo siglando protocolli e linee guida in molte aziende. Il Governo attraverso la comunità scientifica avrà il compito di definire i tempi e le modalità delle riaperture”.
Alle parole di Re David, risponde la Confindustria Piemonte: “Mi sembra che Re David sia ingenerosa nei nostri confronti – ha dichiarato il presidente Fabio Ravanelli – La Confindustria ha fatto presente che una situazione del genere non è sostenibile per troppo tempo. Il nostro è un atto di responsabilità perché se andiamo avanti così molte aziende chiuderanno e questo avrà contraccolpi sull’occupazione”.
Il presidente degli industriali di Torino, Dario Gallina, ha fornito alcune stime sui rischi di un eccessivo stop alla produzione, sostenendo che potrebbero essere 100-150mila i posti di lavoro a rischio nella regione. In pericolo c’è il 10% delle imprese, dicono: “Non vogliamo dare messaggi allarmisti. Dobbiamo evitare questo scenario, il peggiore. E per questo dobbiamo riaprire al più presto le fabbriche”.
“Il Piemonte potrebbe pagare un prezzo più alto rispetto alla media nazionale. La situazione è molto peggiore. Quello che ci può salvare è il nostro settore alimentare di qualità che è in controtendenza”, aggiunge ricordando il crollo dell’85% dell’auto, ma anche del settore tessile a Biella e quello della rubinetteria nel novarese, fermo perché legato all’edilizia.
Nel 2009 aveva chiuso il 10% delle aziende piemontesi, ma questa volta, sostiene, la percentuale potrebbe essere ancora più alta: “Il blocco delle attività rischia di essere letale per interi settori produttivi e tipologie di aziende. Nessuna impresa, per quanto solida e ben patrimonializzata, può permettersi uno stop prolungato. Confindustria sostiene con forza che è necessario e possibile ripartire al più presto. L’obiettivo, primario e irrinunciabile, di tutelare la salute dei lavoratori è pienamente conciliabile con quello di riaprire le fabbriche”, ha detto Gallina.