Viviamo momenti tristi, duri, sia per il corpo che per l’anima. Chi ha contratto la “nuova peste” dei tempi moderni deve combattere con tutte le proprie forze fisiche e spirituali per non farsi schiacciare da questo morbo. Chi, invece, è ancora sano, spesso deve combattere con la solitudine o, peggio ancora, affrontare una situazione economica pesante. Il nostro mondo ha visto già molte pestilenze abbattersi sulla vita di tutti.

Nel romanzo dei Promessi Sposi, il Manzoni ha sapientemente descritto un periodo buio, proprio nella stessa regione italiana più colpita anche in questi giorni. Anche allora c’era una ricerca spasmodica agli “untori”, spesso identificati in poveri mendicanti o stranieri che avevano la sventura di passare nei luoghi a loro non usuali. Anche oggi, il popolino deve classificare i nuovi untori; i runner, i ciclisti e i passeggiatori incalliti sono i nuovi untori della peste odierna.

L’altro giorno ho assistito ad una scena allucinante. Scendo in strada per depositare i rifiuti nell’apposita area ecologica del mio palazzo e, nel tornare, passando accanto alla strada, un ciclista sta passando; dall’altro lato del marciapiede, un vicino gli urla contro: “Maledetto, stai a casa invece che andare in giro in bicicletta”. Il biker si ferma, si gira e con calma serafica risponde: ”Ho appena finito un turno di dodici ore in ospedale, vado a casa a farmi una doccia e a dormire un paio d’ore e poi devo rientrare, ti basta come spiegazione?”.

Poi, riprende la sua strada e se ne va. Guardo sconsolato il vicino, che è comodamente a casa in sicurezza e che ovviamente è rimasto a bocca aperta, rendendosi conto di quanto fuori luogo e inutile fosse stato il suo intervento. Lasciamo alle forze dell’ordine il controllo, è meglio, non diamo giudizi pericolosi. Non creiamo falsi untori, altrimenti dimostriamo di non aver imparato nulla dalla storia.

Ci sono molti altri problemi, legati a questa situazione grottesca e tragica che stiamo vivendo. Famiglie che sono in grande difficoltà, perché il lavoro è scomparso o perché si è bloccata la possibilità di avere quel minimo di entrate che permettono di vivere, o addirittura anche di sopravvivere. In questi momenti esce il buono di noi esseri umani; esce il sentimento della solidarietà che spinge chi ha qualche possibilità in più a condividere ciò che ha con gli altri, che soffrono o che non hanno addirittura da garantire il cibo per sé e la propria famiglia.

E sono tanti gli esempi che qui potremmo citare. Vale la pena di prenderne uno come simbolo, che ricorre in questi giorni. A Povo, quartiere periferico della mia città, Trento – ma sono sicuro che avviene in moltissime altre realtà italiane – la famiglia cooperativa ha un direttore molto attento e sensibile alla situazione che, tristemente, si sta amplificando nella nostra società. E, proprio in questi giorni, ha messo a disposizione derrate alimentari da distribuire a chi versa in condizioni di insicurezza e difficoltà.

Nei giorni scorsi è stato attivato il contatto con il Banco Alimentare Trentino, che informato di questa possibilità ha subito attivato un’altra catena di volontari, gli alpini volontari, che si sono recati presso la famiglia cooperativa a ritirare la merce alimentare messa a disposizione dal direttore Fabrizio Bellotti, persona davvero squisita. Un bell’esempio di catena solidale, che vale la pena mettere in evidenza in questi giorni tristi e malinconici. Una bella rete solidale, fatta da persone che credono nella solidarietà e nell’aiuto reciproco. Una rete attiva nel nostro Trentino, nella nostra Italia, che sa dare il meglio di sé nei momenti di crisi.

Abbiamo ancora speranza di una vita ricca di amore e di un futuro sociale pieno di risorse e soddisfazioni, finché terremo vivi questi sentimenti e questi propositi e se saremo in grado di rispettare le regole senza cercare, a tutti i costi, untori nei nostri concittadini. Grazie a tutti i volontari che, in questi momenti duri per tutti, non si sottraggono mai al lavoro, rischiando anche la loro stessa incolumità, perché anche loro sono esseri umani che hanno famiglia. Grazie di cuore.

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