C’è da chiedersi che cosa sarebbe successo se non fossimo stati in tempi di quarantena, e il traffico di Tir, autobus e automobili sul ponte crollato a Massa Carrara fosse stato a livelli normali. Il cedimento del viadotto, che fortunatamente non ha fatto vittime, ci ricorda una delle tante priorità del nostro Paese che la classe politica non vuole vedere.
Siamo davanti a una situazione disperata: oltre ai ponti pericolanti, sono numerose le gallerie con infiltrazioni d’acqua (in un contesto idrogeologico già particolarmente critico) che non vengono manutenute, per mancanza di fondi e a causa di una pessima regionalizzazione delle strade. Proprio quelle che in questo periodo le regioni, non in grado di gestirle, stanno restituendo all’Anas che gliele aveva assegnate 20 anni fa. La rete viaria italiana è molto estesa: 154 mila chilometri tra strade e autostrade, di cui ben 111 mila sono strade provinciali. Quando si parla di viabilità, opere civili e infrastrutture, bisognerebbe partire da qui.
Se non sarà una passeggiata uscire dalla crisi sanitaria/pandemica del coronavirus, non lo sarà neppure adottare una strategia economica di sviluppo che guardi al futuro. Non si intravede una strategia che sappia cogliere le prospettive di riconversione industriale, di innovazione tecnologica e ambientale che il mondo ha davanti, visto che sempre di più emerge un rapporto tra inquinamento e letalità del virus Covid-19.
Invece il partito trasversale del cemento grazie a questa crisi sanitaria punta a un’accelerazione per sbloccare i cantieri, rinverdendo un vecchio piano per costruire opere spesso di scarsa utilità sociale, e soprattutto che non creano occupazione come invece farebbe un grande piano di manutenzione delle strade e delle ferrovie esistenti.
Anziché nuove grandi opere, in questi mesi sarebbe urgente rimettere in sesto i ponti a rischio e le scuole italiane, vecchie e inadeguate anche sotto il profilo informatico. Intanto che il traffico è scarso e gli studenti sono a casa, i lavori di ammodernamento e manutenzione potrebbero agevolmente partire. È vero che sarebbero già in pista 25 opere, per una spesa complessiva di 6 miliardi di euro. È però grave che per questi lavori verrà adottato il “solito” meccanismo semplificatorio della nomina di un commissario, sul modello del ponte di Genova. Un caso nel quale è opportuno ricordare che la indiscutibile velocità dei lavori si accompagna a un finanziamento che per ora è arrivato solo dall’anticipo dello Stato (con i 500 milioni del decreto Genova), anche se le spese sono state poste a carico di Autostrade per l’Italia.
Se questo è il modello, continuando a seguirlo, un settore già poco propenso alla concorrenza e alla trasparenza rimarrebbe ancora in pasto ai partiti del cemento. La mancanza di un nuovo capo all’Autorità anticorruzione dopo la fine del mandato di Raffaele Cantone ha fatto completamente dimenticare che regole e concorrenza (per spendere meno e premiare le aziende che lavorano meglio) erano e sono una priorità.
Così come sarà prioritario sottrarre alla malavita organizzata gli appalti per le opere civili, per la manutenzione delle infrastrutture (visto che oramai stanno compiendo tutte quasi 50 anni e il cemento armato ha terminato i suoi tempi di “tenuta”) e del territorio. Si creerebbe così un’occupazione maggiore, più duratura e capace di sottrarre le piccole imprese in crisi ai condizionamenti dei grandi costruttori.