Quello che sappiamo dell’epidemia in corso ci arriva principalmente dai media. Ogni giorno vediamo il numero delle vittime e dei ricoveri, accompagnato da scene drammatiche di bare e di persone in terapia intensiva. Ma i media non fanno nessuna analisi sui dati a parte, al massimo, confrontarli con quelli del giorno prima. Il risultato è che la maggior parte della popolazione non ha modo di rendersi conto della portata dell’epidemia. C’è chi è terrorizzato, convinto che moriremo tutti, e chi invece è saltato alle conclusioni opposte, sostenendo che è tutto un complotto.

Ma possiamo quantificare cosa sta succedendo senza cadere nel complottismo o nell’isteria? I dati sono ancora incerti, ma cominciano ad essercene a sufficienza da poter fare una valutazione. I dettagli li trovate sul mio blog, qui vi faccio un breve riassunto.

I dati li potete trovare, per esempio, sul sito dell’Institute for Health Metrics and Evaluation che tiene conteggi aggiornati per quasi tutti i paesi del mondo. In Italia, l’epidemia è chiaramente in discesa e la proiezione è di un totale di circa 20.000 decessi direttamente correlati al coronavirus. Certo, 20.000 vittime non sono poche, specialmente se includono una persona cara. Ma come si pone questo numero rispetto alla normale mortalità della popolazione?

Vediamo i dati. Secondo Istat, l’anno scorso sono morte in Italia circa 640.000 persone, circa l’1% del totale della popolazione. E’ un numero che è stato in continuo aumento negli ultimi anni: 15 anni fa morivano circa 100.000 persone in meno di oggi. E’ una cosa normale per via dell’invecchiamento graduale della popolazione e il numero dei decessi è destinato ad aumentare ancora nel futuro finché non sarà passata l’ondata del “baby boom” fra il 1946 e il 1964.

Non solo il numero di decessi aumenta, ma oscilla nel tempo e ci sono stati anni particolarmente disgraziati. Per esempio, nel 2003 abbiamo avuto 18.000 decessi causati dell’ondata di calore estivo. L’ondata di influenza del gennaio 2017 ha fatto circa 20.000 morti in più rispetto alla media. Nel 2015, ci sono stati ben 50.000 decessi in più rispetto al valore atteso, in parte anche quelli correlati alla normale influenza.

Ne consegue che l’epidemia di coronavirus, con le sue 20.000 vittime previste, è comparabile ai picchi di mortalità che abbiamo già visto nel passato e che abbiamo superato senza grossi problemi. La differenza, ovviamente, è che il coronavirus ha colpito pesantemente una zona specifica nel Nord Italia, mettendo in crisi il sistema sanitario e causando una situazione drammatica. Ma il momento peggiore sembra superato. In altre parole, l’epidemia è una crisi seria ma non una catastrofe.

Il confronto con i dati storici ci dà un metro di valutazione per decidere cosa fare. E’ chiaro che dobbiamo tener conto della salute della popolazione, ma anche che con il blocco totale il paese sta andando in rovina. La situazione è disastrosa specialmente vista da dove vi scrivo, da Firenze. Qui, moltissima gente viveva di piccoli negozi, ristoranti, affittacamere, artigiani, cose del genere. Con il blocco e la sparizione del turismo, molti hanno perso il lavoro, altri l’azienda. Non sanno più come fare a pagare il mutuo della casa o l’affitto e cominciano ad essere in difficoltà anche a trovare i soldi per fare la spesa. E non è che il problema sia solo nelle città turistiche. Se non facciamo ripartire l’economia, le cose non possono che peggiorare.

Altri paesi sono riusciti a contenere l’epidemia senza bisogno di restrizioni draconiane. Per esempio in Germania il blocco è stato “morbido”, ma le proiezioni parlano di un totale di meno di 9000 decessi, meno della metà di quelli previsti in Italia. E in Germania ci sono 20 milioni di persone in più che da noi. Allora possiamo pensare già da ora ad allentare il blocco anche se, ovviamente, con gradualità e con la massima attenzione.

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