Se c’è un paese in Sudamerica che ha registrato un crollo verticale a livello benessere e dignità umana, dopo il passaggio di consegne dal governo precedente a quello attuale, questo è l’Ecuador. In pochi anni (dal 2017, fine del mandato decennale di Rafael Correa con la vittoria elettorale del suo successore Lenin Moreno) la nazione andina ha visto polverizzato il suo patrimonio in termini di riserve monetarie e welfare sociale, venendo anche meno quella solidarietà culturale che la Revolución Ciudadana del partito di Correa, Alianza País, aveva assicurato ai suoi amministrati.

Cosa non facile in un territorio non vastissimo, ma estremamente frammentario nella sua composizione territoriale ed etnica, dove i collegamenti tra le varie comunità sono tutt’altro che agevoli. Dalle isole Galápagos che distano circa 1000 km dalla terraferma, ai vulcani imponenti attorno ai quali vivono differenti etnie indigene (il vulcano Chimborazo, con i suoi 6.310 metri è il più alto della Terra) fino alla giungla equatoriale che si snoda lungo il fiume Napo – senza dimenticare la minoranza afro-ecuadoriana che vive nella provincia costiera di Esmeraldas, non lontana dal confine colombiano – il popolo dell’Ecuador è un coacervo di genti e idiomi, pur se lo spagnolo rimane la lingua ufficiale.

Picconate di Moreno al welfare

Correa era riuscito a ridurre il tasso di povertà dal 37% al 22,5% creando dal nulla un welfare finanziato sia dalle royalties cinesi collegate all’estrazione del greggio, che dalla tassa di successione sulle eredità cospicue, oltre che dai contributi imposti alle banche dal Bono de Desarrollo Humano. Ciò non permetteva solo di pagare le pensioni di due milioni di cittadini, ma aiutava anche categorie bistrattate dal machismo latino quali le casalinghe e le donne abbandonate con figli a carico. Il fiore all’occhiello dello stato sociale era però la sanità pubblica, gratuita per tutti, stranieri compresi.

I problemi erano già cominciati prima di Moreno, dopo che il micidiale terremoto del 2016 e il calo del Brent Crude aveva costretto il governo a ricorrere ai prestiti di Pechino, che in contraccambio chiedeva la precarizzazione della manodopera e la riduzione degli adeguamenti salariali.

Moreno colse la palla al balzo per emanciparsi dalla visione socialista del suo predecessore e tornare sotto l’ala del Fmi,
che impose un programma di austerity economica, tagliando i sussidi energetici e riducendo ai minimi termini l’aumento del salario minimo, otto dollari mensili lo scorso anno, un vero insulto.

Lo schiaffo finale a Correa da parte del suo ex delfino fu prettamente politico: Moreno revocò l’asilo a Julian Assange, permettendone l’arresto all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra perché fosse sottoposto al processo che potrebbe costargli l’estradizione negli Stati Uniti che lo reclamano da anni.

La classica goccia che determinò poi la rivolta degli indios fu quella dell’aumento del carburante: il costo del gasolio addirittura raddoppiò, la capitale Quito venne messa a ferro e fuoco, e pure se la polizia uccise otto manifestanti, Moreno fu costretto a rimangiarsi gli aumenti.

Orrore a Guayaquil

In un quadro così deteriorato, la pandemia globale peggiore del dopoguerra non poteva che dare il colpo di grazia. Tutto cominciò il 19 marzo, quando in piena emergenza coronavirus un Boeing della Klm fu costretto a rinunciare all’atterraggio nella città di Guayaquil, la più grande del paese, poiché una colonna di furgoni aveva occupato la pista dell’aeroporto temendo il contagio. In realtà, l’aereo avrebbe dovuto imbarcare 185 olandesi rimasti intrappolati in Ecuador dopo il blocco dei voli.

La pandemia ha colpito l’Ecuador infierendo in particolare su Guayaquil: su 3600 casi, 2400 sarebbero di pertinenza della città costiera, dove si registrano circa la metà dei 318 decessi ufficiali. Ciò ha causato nella città scenari da film apocalittici modello Hollywood: le strutture sanitarie, chiamate ripetutamente dai cittadini che avevano denunciato problemi respiratori di genitori e congiunti anziani con altri sintomi inerenti al Covid-19, si sarebbero rifiutate di intervenire. Numerosi malati non ce l’hanno fatta e sono morti in casa.

Dopo qualche giorno, poiché né gli ospedali né le pompe funebri si erano presentati a constatare le morti e ritirare i cadaveri, la gente ha cominciato ad accatastare i corpi per le strade, in alcuni casi gettandoli avvolti in teli di plastica nei bidoni dei rifiuti o lasciandoli all’esterno dei nosocomi. Il Coe (Centro Operazionale di Emergenza) ha confermato che centinaia di salme sono state rinvenute in questo stato. E finora non è dato sapere se tutta questa gente sia morta effettivamente a causa del virus, in mancanza di test comprovanti e di precauzioni che hanno peggiorato il quadro sanitario.

Scene di orrore che sono arrivate anche alle orecchie de Le Iene, le quali ci han messo sopra il carico da novanta, mostrando un video di un presunto cadavere bruciato per le strade. In realtà, aldilà dei dettagli macabri, è uno scenario che non si discosta molto dagli anziani lasciati morire nelle case di riposo in Italia, e della scarsità dei dispositivi di sicurezza che hanno causato tante vittime tra i nostri medici e operatori sanitari presso ospedali e centri privati di riabilitazione motoria.

A ulteriore riprova che il neoliberismo mondiale, dopo aver causato lo sfascio del servizio sanitario pubblico, è stato il migliore alleato della pandemia globale in corso.

(Testi e foto: Flavio Bacchetta Copyright)
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