In una piazza San Pietro deserta per l’emergenza coronavirus, il Papa ha presieduto il rito della Via Crucis trasmessa in mondovisione. E se l’ultima volta era apparso nella piazza per invocare la fine della pandemia, questa volta Bergoglio non ha tenuto nessun discorso al termine come era consuetudine al Colosseo ma, alla fine della dodicesima stazione, ha pregato in silenzio davanti al Crocifisso del miracolo di San Marcello. Nelle quattordici stazioni, a portare la croce, medici, infermieri del Gemelli, il cappellano del carcere Due Palazzi di Padova che ha curato le meditazioni della Via Crucis, ex detenuti e personale dell’istituto di pena.

Sul Golgota, Papa Francesco porta proprio un ex detenuto, il direttore del carcere, il vicecommissario della polizia penitenziaria, un agente della polizia, la volontaria Tatiana Mario, il cappellano don Marco Pozza e cinque tra medici e infermieri della Santa Sede. Le meditazioni quest’anno sono scritte dai detenuti del carcere e da chi con loro è, in qualche modo, in relazione. Tra le stazioni risuonano le loro storie: il pusher, i genitori di una vittima di femminicidio, il sacerdote accusato ingiustamente di pedofilia e assolto dopo otto anni di processo. “Somiglio più a Barabba che a Cristo“, scrive un ergastolano. “Eppure la condanna più feroce rimane quella della mia coscienza: di notte apro gli occhi e cerco disperatamente una luce che illumini la mia storia”. Bergoglio non aggiunge un discorso al termine del rito, come fa di solito. Quest’anno, bastano i pensieri di chi soffre. Nelle pieghe delle loro parole, il Pontefice si sente “accolto, a casa”, confessa lui stesso in una lettera scritta ai detenuti per ringraziarli del loro lavoro.

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