Il provvedimento scarica un costo privato sulle casse pubbliche. Le proteste del M5s sono riuscite a modificare il tiro, seppur di poco: invece che essere di 7 anni, l’esenzione viene cancellata per il 2020, dimezzata per il 2021 e il 2022, ma resta intatta dal 2023 al 2027, gli anni cruciali per i Giochi, quelli in cui si prevedono più spese, più contratti (e più benefici per chi pagherà meno tasse)
Si dice che lavorare per le Olimpiadi sia un grande privilegio. Farlo per i Giochi di Milano-Cortina 2026 lo sarà per davvero: nell’ultimo decreto sui Giochi il governo ha infilato una norma che permetterà a tutti i manager e dipendenti del Comitato organizzatore di pagare le tasse solo sul 30% del loro stipendio. Un provvedimento a carico dello Stato (50 milioni di costo per le casse pubbliche), su cui si è scatenata l’ennesima battaglia politica: da una parte un’ala del Movimento 5 stelle, contraria all’esenzione, dall’altra Pd e rappresentanti dell’esecutivo schierati a difesa dei vantaggi fiscali per il Comitato. “Sembra un’ovvietà ma evidentemente per qualcuno non lo è”, la protesta di Simone Valente, deputato M5S che segue da sempre lo sport. “Il trattamento deve essere uguale per i cittadini, come ribadisce l’articolo 53 della nostra Costituzione”. Non lo sarà però per Milano-Cortina, una specie di paradiso fiscale in territorio italiano, dove i contratti alla fine avranno comunque una tassazione molto agevolata dal 2023 in poi.
Proprio in questi giorni il Parlamento a scarto ridotto deve convertire in legge il decreto Olimpico varato a febbraio: oltre a costruire l’impalcatura della Fondazione privata che gestirà l’evento, nel testo era stata infilato un altro passaggio, passato quasi inosservato. Il comma 6 dell’articolo 5 prevede che “i redditi da lavoro dipendente nonché quelli assimilati derivanti dagli emolumenti corrisposti dal Comitato organizzatore, per il periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2020 e il 31 dicembre 2026, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% del loro ammontare”. Tradotto, meno tasse per tutti: a differenza degli altri comuni cittadini, chi lavora per il Comitato le pagherà solo sul 30% del proprio stipendio, il resto è tutto guadagno netto. Il pretesto è la parte dell’host city contract in cui l’Italia si impegna ad applicare una tassazione che permetta al Comitato di raggiungere i suoi obiettivi. Ma l’obiettivo era sgravare dalle imposte i contributi forniti dal Cio per realizzare le opere, non permettere a chi ne sarà a capo di pagare meno. Certo, in questo modo la Fondazione potrebbe offrire stipendi più bassi, ma chissà se andrà davvero così. Alcuni compensi sono già stati pattuiti (come quello dell’ad Vincenzo Novari, circa mezzo milione di euro: con quale tassazione?). E comunque si tratterebbe di spostare un costo dal privato (il Comitato) al pubblico (lo Stato).
Quando la norma è diventata nota dopo un articolo del Fatto quotidiano, in Parlamento si è aperto lo scontro: qualcuno nel Movimento 5 stelle (ma non solo, qualche piccola voce di dissenso si è levata persino tra le fila del Pd) ha chiesto conto del provvedimento, e ha provato a fermarlo in vista del voto previsto alla Camera la settimana prossima. Ma le proteste non sono riuscite a scardinare gli accordi che qualcuno nel governo aveva già preso col Comitato organizzatore. Per altro in questi giorni i lavori della Commissione sono ostacolati anche dall’emergenza Coronavirus: le memorie che erano state richieste per giustificare l’esenzione (anche il dossier della Camera evidenzia dubbi sulle coperture) non sono arrivate, le richieste di audizioni sono cadute nel vuoto. L’unica spiegazione fornita è stata che senza questa esenzione lo Stato avrebbe dovuto metterci comunque altri soldi perché le risorse private del Comitato organizzatore non sarebbero bastate.
Così i parlamentari più combattivi si sono dovuti accontentare di un compromesso al ribasso. Invece che essere di 7 anni, grazie all’approvazione di un emendamento a firma M5S l’esenzione viene così riformulata: si pagherà sul 100% dello stipendio nel 2020, sul 60% dal 2021 al 2023, mentre viene confermato lo sgravio super favorevole al 30% dal 2024 al 2026, gli anni cruciali per i Giochi, quelli in cui si prevedono più spese, più contratti (e più benefici per chi pagherà meno tasse). Anche così la misura costerà oltre 40 milioni di euro allo Stato di mancati introiti, il Comitato ha rinunciato a pochi spiccioli. Il “regalone olimpico” è salvo.