Nell'istituto si sono registrati anche una settantina di contagi tra il personale che ad un certo punto si è ridotto addirittura del 75%. Il presidente dell’istituto, don Federico Pellegrini aveva lanciato un appello per chiedere i tamponi, mai effettuati
Su oltre 320 pazienti, tutte donne, 22 ospiti sono morte in queste settimane all’interno dell’Istituto Bassano Cremonesini di Pontevico (Brescia), come riportato in un articolo su Valori.it e confermato dagli stessi dirigenti. Nell’istituto si sono registrati anche una settantina di contagi tra il personale che ad un certo punto si è ridotto addirittura del 75%. Il presidente dell’istituto, don Federico Pellegrini aveva lanciato un appello per chiedere i tamponi, mai effettuati, e denunciato l’emergenza per la mancanza di personale. “Devo constatare come si è arrivati al limite della possibilità di garantire un servizio adeguato alle nostre ospiti, per la mancata presenza di molto personale. Un servizio che sta collassando” disse il sacerdote a fine marzo. Quello delle residenze per disabili psichici potrebbe diventare un ulteriore versante dei numerosi focolai che sono stati registrati nelle residenze per anziani.
“Il mondo delle Rsa costituisce un problema non solo italiano, ma che riguarda tutto il mondo: ci sono stati casi eclatanti in molti Paesi europei e in America. Certo, in Italia si è manifestato prima – dice Graziano Onder, geriatra e direttore del dipartimento Malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e invecchiamento dell’Istituto superiore di sanità (Iss) – perché l’epidemia è arrivata prima e il nostro Paese ha avuto la sfortuna di doversi confrontare subito con questa questione. L’Iss – ricorda – ha dato avvio a una survey sulla situazione delle Rsa in seguito ai primi report sulla presenza di casi di Covid-19 all’interno di queste strutture, in considerazione del fatto che ospitano i pazienti più vulnerabili, complessi ed esposti alle conseguenze peggiori dell’infezione. Fare queste rilevazioni non è semplice, perché si tratta di un mondo estremamente eterogeneo, con tipologie diverse di pazienti e regole differenti nelle varie Regioni. Ecco, la vera questione è che nessuno ha veramente il controllo del sistema ed è un settore difficile da indagare e da valutare globalmente. Noi lo abbiamo potuto fare avvalendoci dell’esperienza dell’osservatorio delle demenze Iss. È difficile persino stimare quante Rsa ci siano in Italia – fa notare Onder – un rapporto Auser di qualche anno fa parlava di 6.000-6.500 strutture. Quel che è certo è che tutte presentano un ambiente favorevole al contagio: residenti fragili, che però spesso condividono camere, spazi comuni. Tutti aspetti che purtroppo facilitano infezione. Altro punto critico è sicuramente legato al fatto che spesso in queste strutture c’è un approvvigionamento insufficiente di dispositivi di protezione individuale (Dpi) per gli operatori: per questo, alcuni dipendenti di queste strutture si sono ammalati e, oltre a rappresentare un rischio sanitario, si sono create carenze di personale, non essendo queste strutture di dimensioni pari a un ospedale e in grado di sopperire alle assenze. E gestire questo tipo di pazienti con pochi dipendenti è molto difficile”.