Con la Pasqua scivola via un altro week-end tradizionalmente dedicato ai luoghi della cultura. La festa delle città d’arte italiane si trasforma in una enorme mancanza. Sicuramente c’è chi in questi giorni una capatina al suo museo preferito (o a quello che avrebbe sempre voluto visitare) l’ha fatta, virtuale, dal salotto di casa. Proprio sulla cultura sono piombati i primi effetti del decreto legge firmato dal premier Conte lo scorso 23 febbraio. Bloccata, tra le altre iniziative, la domenica gratuita in circa 455 musei, parchi archeologici statali e siti comunali prevista per il 1 marzo, iniziativa che il ministro Dario Franceschini aveva reintrodotto in maniera stabile appena un mese prima, ma che dal 2014 ha portato nei musei statali oltre 17 milioni di visitatori. L’inizio di un incubo, attutito dalla possibilità di visitare online alcuni luoghi di cultura, ascoltare grandi orchestre e avere accesso a cataloghi di libri e film, attraverso le iniziative messe in campo da diverse istituzioni. Nel frattempo il premier Conte ha annunciato: il 14 aprile riapriranno le librerie. Ancora ci si chiede quando toccherà ad altri siti. E, soprattutto, con quali modalità. Se lo è chiesto un gruppo di professionisti e organizzazioni culturali, che ha redatto un sondaggio di 12 domande alle quali hanno risposto quasi duemila cittadini e il cui risultato merita una riflessione, in vista della cosiddetta ‘fase 2’. L’idea è di Agostino Riitano, già project manager supervisor di Matera Capitale Europea della Cultura 2019. “Abbiamo cercato uno strumento che ci aiutasse a capire se la paura del contagio ha trasformato la propensione dei cittadini a frequentare i luoghi della cultura – spiega a ilfattoquotidiano.it – per comprendere i prossimi scenari”.

CHI RITORNA E CHI HA PAURA – I risultati del questionario sono stati ordinati per fasce d’età, provenienza geografica (Nord, Centro, Sud) e titolo di studio di chi ha partecipato. È possibile scegliere come leggerli e questo può fornire agli operatori uno strumento per capire che propensione c’è a ritornare in una libreria, un museo o un teatro in una determinata area del Paese. La prima domanda, infatti, è: “Dopo quanto tempo dalla dichiarazione ufficiale di cessazione dell’emergenza saresti disposto a riprendere le abituali attività di aggregazione sociale e culturale?”. Il 48% ha risposto “subito dopo”, il 41% circa aspetterebbe da uno a due mesi, circa il 9% fino a sei mesi e il 2% tornerebbe dopo un anno. “Questo dato si incrocia anche con la modalità di fruizione degli spazi culturali – spiega Riitano – perché chi vuole attendere qualche mese, chiede anche di predisporre misure di distanziamento sociale in questi luoghi”. E c’è una prima riflessione: “Considerate le pessime previsioni sull’afflusso di turisti che da sempre facevano la fila per entrare nei nostri musei, parchi archeologici, chiese, non possiamo permetterci di perdere anche quel 50% che visiterà mostre solo a certe condizioni di sicurezza”.

COSA SI RISCHIA – Il rischio è uno scenario inimmaginabile: scavi di Pompei vuoti, Musei Vaticani senza fila, Uffizi con all’interno pochissime persone. Secondo i dati raccolti in ‘Io sono Cultura 2019’, il rapporto di Symbola e Unioncamere, il sistema produttivo culturale e creativo, fatto da imprese, pubbliche amministrazioni e non profit, genera quasi 96 miliardi di euro e attiva altri settori dell’economia, arrivando a muovere 265,4 miliardi, equivalenti al 16,9% del valore aggiunto nazionale. Il dato comprende il valore prodotto dalle filiere del settore, ma anche quella parte dell’economia che beneficia di cultura e creatività e che da queste viene stimolata, a cominciare dal turismo. Una ricchezza che genera occupazione, perché questo ‘sistema’ dà lavoro a 1,55 milioni di persone, che rappresentano il 6,1% degli occupati in Italia. Nel 2019, musei e monumenti sono stati visitati da 55 milioni di persone, in lieve calo rispetto al 2018 in gran parte dovuto alle ondate di maltempo e alla parziale cancellazione delle domeniche gratuite, poi ripristinate. Contemporaneamente, però, sono cresciuti del 5% gli introiti per le casse statali, con un incremento di circa 12 milioni di euro, conseguenza (anche) di nuovi piani tariffari nei tre siti più gettonati: Colosseo, Gallerie degli Uffizi, Scavi di Pompei.

RIPENSARE AGLI SPAZI CULTURALI, ANCHE ALL’APERTO – Come evitare di perdere questo patrimonio? “Agire ora e pensare a riorganizzare gli spazi della cultura, come teatri e cinema, ma anche quelli all’aperto”, spiega Riitano. Nella survey si chiede ai cittadini quali fossero i luoghi frequentati prima della quarantena e, per ognuno, quali siano le intenzioni su un possibile ritorno. Se per libreria (prima che Conte desse il via libera) e teatro una percentuale piuttosto bassa ha risposto “non ci penso proprio”, rispettivamente il 10 e l’11%, il 43% si terrebbe alla larga da concerti e il 47% da eventi in discoteca. Il problema, dunque, riguarda soprattutto determinati momenti di aggregazione. “L’uomo ha costruito luoghi chiusi – spiega Riitano – per proteggersi anche dalla natura, mentre ora dobbiamo ragionare sul design degli spazi e riabilitare l’aperto come luogo sicuro per poter creare nuove dinamiche di fruizione. Ma lo spazio pubblico così vissuto era qualcosa che si stava già iniziando a ridisegnare, ancora prima del Coronavirus”. Questo sia per ragioni legate alla minaccia terroristica, sia dopo i fatti avvenuti a Torino a giugno 2017, durante la proiezione della partita di Champions League Juventus-Real Madrid, in piazza San Carlo: 1525 feriti e due donne morte. Oggi è cambiata la normativa di sicurezza, sono stati imposti più paletti e anche l’iter burocratico per organizzare un evento è più complesso. “Con questo rinnovato scenario – commenta Riitano – credo sia opportuno un ragionamento serio sulla pianificazione di eventi in spazi aperti, anche perché non possiamo azzerare quella che è una parte determinante della nostra natura culturale, ossia l’aggregazione. Penso ai festival che fanno parte della nostra identità. Oggi si possono scrivere nuove pagine, dovranno farlo artisti, creativi e policy maker, creando condizioni di natura amministrativa”.

IL DIGITALE E “LA NOSTRA NATURA CULTURALE” – In questi giorni si parla molto del contributo dei contenuti culturali digitali. La rete delle organizzazioni dei musei europei (Nemo) sta conducendo un sondaggio (verrà chiuso il 17 aprile) per esaminare come l’emergenza stia influendo sui budget dei musei e come questi stiano riorganizzano le strutture. Sono stati analizzati i dati dei primi 650 che hanno risposto: il 92% è chiuso e, rispetto al danno economico, il 30% sta perdendo fino a mille euro a settimana, il 25% fino a 5mila, il 13% fino a 30mila e il 5% perde oltre 50mila euro. Oltre il 60%, però, ha aumentato la propria presenza in rete, mentre il 13,4% ha previsto un budget più consistente per le attività online. Il 40% dei musei ha registrato un aumento delle visite al proprio sito, anche grazie ai tour virtuali proposti. Nello stesso questionario italiano più di 1.422 persone hanno dichiarato di utilizzare strumenti digitali durante il periodo trascorso a casa (e solo il 13% prevede di non utilizzarli più passata la quarantena). “Il digitale è uno strumento importante, ma non credo sia la soluzione a tutto” sottolinea Riitano.

COME VINCERE LA PAURA – Di fatto, se tutto va bene, ci ritroveremo nei prossimi mesi a entrare in musei o sale cinematografiche con modalità mai sperimentate. Si va dalle mascherine al distanziamento sociale. Il rischio non è che l’impatto, anche solo visivo, abbia un effetto negativo dal punto di vista psicologico? “Ritengo che bisogna attrezzare prima possibile spazi di cultura che ripropongano un’estetica della vita – suggerisce – in contrapposizione a una rappresentazione della morte a cui la società occidentale non era più abituata. Una cultura come cura e benessere, anche grazie a contenuti e percorsi nuovi pensati per questo momento. Se ne esco rasserenato e tranquillizzato, sarà valsa la pena combattere la paura per tornare al museo”.

EVITARE IL DEFAULT – Per tutto ciò, però, occorrono risorse. E se per i luoghi pubblici della cultura lo Stato può intervenire garantendone almeno la sopravvivenza, la stessa tutela non viene data al privato, che pure sta affrontando gli stessi problemi. “Nel ddl a favore delle imprese tradizionali – sottolinea Riitano – non c’è alcun sostegno per gli operatori del terzo settore, in gran parte associazioni, che danno tantissimo in questo campo”. Per il manager anche “lo stanziamento di 130 milioni” nel dl Cura Italia “esclude una fetta importante di operatori, tra l’altro i più precari, che non rientrano nel Fondo emergenze spettacolo, cinema e audiovisivo”, ma sono tra quelli “che permetteranno a questo Paese di non avere più paura. Di uscire, comunicare con l’arte e condividere”.

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