Per un mese ho raccontato per ilfattoquotidiano.it la mia vita in quarantena (leggi qui il diario dall’isolamento), io giornalista e mamma una famiglia come tante della prima zona rossa italiana (quella del Basso Lodigiano). Le piccole e grandi difficoltà, i timori, gli inevitabili cambiamenti che hanno stravolto la nostra quotidianità. Mi sono fatta tante domande in questo periodo, soprattutto riguardo le conseguenze che tutto ciò avrà sui miei figli. Ho cercato di immedesimarmi in due bambini di 3 e 5 anni e vedere questa nuova vita dal loro punto di vista. Io e mio marito con tanta buona volontà e fantasia cerchiamo di rendere questa reclusione forzata un periodo comunque sereno e felice per loro. Ma sono chiusi in casa da oltre 45 giorni, non vanno all’asilo, non vedono gli amichetti al parco. Potete immaginare il concentrato di emozioni che hanno acceso i loro occhi quando hanno visto i video-messaggi con i saluti di tutti i loro compagni di scuola che ci siamo scambiati noi genitori sulle chat di classe. Una gioia incontenibile: salti, risate. E a distanza di settimane continuano a chiedermi di riguardarli. E’ inevitabile che nonostante la loro tenera età si stiano rendendo conto che qualcosa non va. Per gestire una situazione senza precedenti, inattesa e per cui nessuno di noi era preparato, la strada più utile è quella di affidarsi ai consigli degli esperti.
Io ho trovato molte risposte alle mie domande nella “Piccola guida al contagio emotivo”, pubblicata proprio nel bel mezzo dell’emergenza coronavirus da Chiara Dallatomasina e Elisa Riboni, neuropsicologhe dello sviluppo cognitivo, consulenti presso l’Ospedale San Raffaele di Milano. Scritta insieme a Priscilla Gaya Petrò di Sugar Rush e Giulia Tortosa di PlayEat, la guida è scaricabile gratuitamente da BeBiBrain, sito con cui le due amiche e colleghe offrono tanti consigli pratici per i genitori riguardo lo sviluppo emotivo e cognitivo dei bambini. Dallatomasina ha risposto alle domande de ilfattoquotidiano.it per fare un po’ di chiarezza sul momento che stanno affrontando i più piccoli.
Come dovremmo spiegare ai nostri figli quello che sta succedendo?
In base all’età del bambino, la cosa importante è dire sempre la verità. Perché se non diamo informazioni adeguate, loro cercheranno di darsi da soli risposte che potrebbero risultare più catastrofiche del dovuto. Poi c’è anche il rischio di creare una dissonanza tra le emozioni negative che i bambini vedono in noi (stress, nervosismo, tristezza) e le informazioni positive che gli diamo (va tutto bene, non è successo niente, non preoccuparti). Questa dissonanza crea preoccupazione nei bambini e difficoltà nel gestire la loro emotività. Essere rassicuranti sì, ma senza nascondere la verità.
La vostra guida parla di “contagio emotivo”, che cosa significa?
Fin da piccolissimi i bambini sono esposti a ciò che in psicologia è definito contagio emotivo: in una situazione difficile, il bambino si trova a far propria l’emozione che il genitore sta vivendo in quel dato momento come se fosse un vero e proprio virus sociale. Addirittura il bambino ne assume in modo involontario e inconsapevole anche le espressioni facciali, vocali e posturali, trovandosi a provare e dover gestire le emozioni che vive, come rabbia, tristezza e paura, senza però aver chiare tutte le informazioni cognitive che spiegano questo evento e che invece per noi adulti sono molto chiare.
Se durante la quarantena un bambino manifesta comportamenti o disturbi mai avuti prima (aggressività, regressioni, ecc.) cosa consigliate di fare ai genitori?
La prima cosa è accettare che il proprio figlio possa, attraverso un comportamento, manifestare il disagio emotivo, perché soprattutto i più piccoli non riescono a verbalizzare le loro emozioni. Poi esprimere empatia, comprensione: banalmente, anche solo un abbraccio. Di fronte a un’espressione di rabbia essere accoglienti può essere un gesto che spiazza il bambino, ma sicuramente lo aiuta. In primo luogo, dunque, i genitori devono accettarlo e non spaventarsi. Alcune cose sono fisiologiche: compaiono improvvisamente e poi regrediscono. L’importante è non sottolineare troppo il comportamento sbagliato, non riprendere il bambino. Se non gli diamo molto peso, alcuni comportamenti possono scomparire in modo spontaneo. Comunque in caso di necessità molti psicologi fanno colloqui anche in questa situazione via Skype.
Cosa non bisogna far mancare al bambino durante la quarantena?
Sicuramente la cosa importante che non deve mancare è la routine, cercare di mantenere abitudini e orari che c’erano anche prima. L’organizzazione della giornata rassicura molto i bambini. Dal punto di vista delle attività bisogna garantire un’alternanza tra gioco attivo con movimento (caccia al tesoro, percorso in casa) e attività che stimolino più la concentrazione (come un puzzle). Che è un po’ quello che fanno anche per esempio alla scuola materna, gioco libero alternato ad attività al tavolo.
Qual è il modo più appropriato per far vivere le feste di questi giorni, in questa situazione anomala, ai nostri bambini?
Mantenere la festa laddove è possibile, perché l’importante è l’autenticità. In un contesto familiare in cui tutti stanno bene è più facile: si può comprare l’uovo di Pasqua, cucinare qualcosa di particolare… In famiglie dove ci sono situazioni gravi di salute, la cosa importante è che venga spiegato al bambino che certe cose non si potranno fare perché c’è un problema. Ma è bene offrirgli comunque qualcosa che gli ricordi l’evento, che lo renda felice, anche se purtroppo si festeggia in una modalità diversa.
Non sappiamo ancora quando potremo tornare alla normalità e neppure se davvero potrà tornare tutto come prima. Come potrebbero affrontare i bambini delle modifiche, speriamo solo transitorie, delle nostre abitudini come l’utilizzo della mascherina?
Sicuramente i bambini possono adattarsi a delle norme, quindi alle norme di igiene e di prevenzione: anche alla mascherina. Se dovesse diventare una normalità per tutti, adulti e amici, diventerebbe una normalità anche per loro. Ovvio che una cosa del genere genererebbe una percezione del rischio maggiore: c’è un messaggio che viene veicolato di “pericolosità” nei rapporti umani. Bisognerebbe quindi stare attenti e trovare il giusto equilibrio tra la norma che tutela la nostra salute e la necessità di non esagerare nel veicolare troppo il messaggio di pericolosità.