"Delusione, incredulità, preoccupazione crescente", è stata la reazione di Confindustria Nord Toscana in una nota diffusa sabato mattina e non è detto che la protesta sia finita qui: l'ipotesi di bloccare la ferrovia o l'autostrada A11 che da Firenze passa proprio per Prato, Pistoia e Lucca. Un mese di chiusura, secondo le stime del loro centro studi, significherebbe perdere 1,2 miliardi di euro. E a risentirne è soprattutto il settore manifatturiero
Il tono è grave e le reazioni da lutto nazionale. Sabato nelle sedi di Confindustria Nord Toscana, che copre le città di Prato, Pistoia e Lucca tra le più colpite dal Covid-19 (1.900 casi sui 7mila totali), gli industriali toscani hanno deciso di fare un coup de théâtre: issare a mezz’asta le bandiere dell’Italia e dell’Unione Europea come si fa in segno di lutto. Ma stavolta non c’era nessuna vittima del coronavirus da ricordare: gli imprenditori toscani hanno deciso di fare questo gesto per esprimere al governo il proprio “scontento e protesta” per la decisione del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di non riaprire le fabbriche fino al 3 maggio.
La “protesta” di Confindustria Toscana arriva a pochi giorni dalla presa posizione degli industriali del nord (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna) che mercoledì avevano firmato un documento congiunto in cui chiedevano al governo di riaprire subito le fabbriche: “Prolungare il lockdown significa continuare a non produrre – hanno scritto gli industriali – perdere clienti e relazioni internazionali, non fatturare con l’effetto che molte imprese finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese”.
Nelle ultime settimane gli industriali del nord, soprattutto quelli di Bergamo, erano già finiti nel mirino delle polemiche per la questione della mancata zona rossa ad Alzano e Nembro, in Val Seriana: in molti hanno denunciato le “pressioni” di Confindustria Bergamo per non isolare l’area a fine febbraio e, come rivelato dal Fatto Quotidiano, lo scorso 28 febbraio gli industriali lombardi avevano pubblicato un video dal titolo #Bergamoisrunning per tranquillizzare i “partner internazionali”. Pur negando le pressioni, il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonomi ha confermato a Tpi che a inizio marzo “non si potevano fare zone rosse, non si poteva fermare la produzione”.
“Delusione, incredulità, preoccupazione crescente”, è stata la reazione di Confindustria in una nota diffusa sabato mattina e non è detto che la protesta sia finita qui. La prossima settimana, dice a ilfattoquotidiano.it una fonte interna agli industriali toscani, potrebbe esserci “un’altra dimostrazione di forza” e “iniziative anche eclatanti” per convincere il governo a riaprire il settore manifatturiero prima del 4 maggio: si sta valutando se bloccare un tratto dell’autostrada A11 che da Firenze passa proprio per Prato, Pistoia e Lucca o la ferrovia. Un colpo a sorpresa che la Regione Toscana sta provando a sventare. Non è escluso che qualcuno decida di riaprire le fabbriche in barba alle norme.
Dopo aver sottolineato due elementi positivi nel nuovo decreto – la possibilità di accedere alle imprese anche se sospese e poi spedire e ricevere prodotti – per Confindustria rimane però il “problema più grave” ovvero “quello delle chiusure che, ulteriormente prolungate, rischiano di segnare una condanna a morte per le imprese”. Poi l’avvertimento: “Molte delle aziende che hanno dovuto sospendere l’attività avrebbero, nonostante la pandemia, ordinativi soprattutto esteri significativi e sarebbero pienamente in condizione di evaderli in sicurezza – si legge nella nota – C’è forte scontento nelle imprese chiuse, consapevoli di perdere in questo periodo clienti che si stanno rivolgendo a fornitori di altri paesi e che sarà difficile recuperare”.
Nei giorni scorsi Confindustria Toscana aveva già lanciato l’allarme: un mese di chiusura, secondo le stime, significherebbe perdere 1,2 miliardi di euro. E a risentirne è soprattutto il settore manifatturiero di Prato, Pistoia e Lucca che, secondo il centro studi di Confindustria, perde 88 milioni di euro a settimana di valore aggiunto. Nella provincia di Prato, per esempio, il 90% delle imprese del settore tessile è chiuso da almeno un mese. Gli industriali sono convinti di poter riaprire in sicurezza e a dare loro manforte ci ha pensato il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, che sabato ha mandato una lettera a Conte per chiedergli di riaprire le imprese del tessile perché ogni mese di chiusura “significa una perdita totale di 615 milioni di euro”.
Twitter: @salvini_giacomo