In Cina le misure di contenimento dell’infezione hanno avuto un grande successo, con riduzione dei positivi al coronavirus, dal picco di 4mila al giorno ai pochi casi importati degli ultimi giorni. In tutto il mondo asiatico si stanno utilizzando, con buoni risultati, metodologie analoghe a quelle cinesi per limitare la circolazione dell’infezione.

Un elemento in Italia, Europa e Usa che si pone in netta distanza rispetto ai paesi asiatici è l’uso, molto inferiore, delle mascherine sanitarie. In modo tranchant, nel nostro paese si è detto, all’inizio, che non servono a proteggersi dal virus, in quanto quest’ultimo è di entità così infinitesime (600 volte più piccolo di un capello) da passarvi attraverso. Il fatto che, però, in altri paesi se ne faccia un così largo uso ha posto l’interrogativo sulla possibilità che possano essere utili, tanto che alcune regioni italiane hanno deciso di imporle ai loro cittadini.

Questa sorta di balletto fra protezione civile che, facendo riferimento all’Oms, non le consiglia e dirigenti regionali, assume a volte aspetti grotteschi, quando si vedono i primi ostentatamente a volto nudo e i secondi bardati. Il cittadino, guardando la televisione, è naturalmente disorientato.

Da un punto di vista pratico possono essere un problema il costo delle mascherine e il necessario approvvigionamento, i consigli per l’uso corretto, le modalità necessarie per un eventuale riuso, visto che non si trovano. Pensando a ciò, certe prese di posizione paiono una conseguenza della consapevolezza che, se le mascherine venissero consigliate a tutti, ci troveremmo in penuria.

Da un punto di vista medico, se quasi tutti usassero le mascherine si ridurrebbe la carica virale negli ambienti di passaggio e in vicinanza di persone infette. Soprattutto le persone che stanno incubando la malattia e sono asintomatiche o coloro che hanno lievi sintomi, come raffreddore e tosse, usando la mascherina libererebbero meno virus. Il virus, in effetti, è molto piccolo e passa facilmente, ma le goccioline su cui si annida durante l’espirazione o la tosse sono molto più grandi e possono essere parzialmente filtrate e bloccate.

Il governo ha consigliato l’uso delle mascherine per chi ha sintomi, ma la sintomatologia è molto cangiante, con casi che si presentano, ad esempio, con mal di pancia o muscolari senza febbre, per cui il discrimine è complesso. Se invece l’uso fosse molto diffuso è logico che anche chi sta incubando o è asintomatico spargerebbe meno virus.

Un secondo elemento di protezione dalla carica virale ci sarebbe per il ricevente del contagio. Una percentuale dei virus che circolano nell’ambiente verrebbe bloccata dalla mascherina e, quindi, il numero dei virus inalati sarebbe inferiore.

Un ulteriore elemento a favore è il fatto che con l’uso della mascherina i movimenti, per gran parte involontari e abitudinari, di passaggio delle mani sulla bocca e sul naso diminuirebbero, con riduzione della possibilità di infettarsi.
Capisco che imporre fuori casa o in certi luoghi tipo fabbriche o uffici l’uso delle mascherine indiscriminato a tutti sia una decisione difficile, perché cozza con un impatto psicologico complesso. Uscire in una città in cui tutti usino le mascherine ci fa sentire ancora più in emergenza e ci pone in uno stato di possibile ansia.

Nei paesi asiatici l’uso delle mascherine è molto più diffuso, anche normalmente, contro lo smog e per infezioni normali, per cui forse l’impatto psicologico è meno forte. Ma da noi conferisce a tanti luoghi un senso di estraneità e alienazione. Da un punto di vista psicologico la mascherina dà il senso di sentirsi più protetti e al sicuro anche se, purtroppo, non è vero.

Questa credo sia la remora maggiore per i dirigenti nazionali della protezione civile, che vedono nell’uso delle mascherine il rischio che le persone allentino il distanziamento sociale o si sentano autorizzate ad uscire in modo indiscriminato e ravvicinato. A mio avviso, però, visti gli indubbi risultati ottenuti in Cina, anche con l’ausilio di questo strumento, sarebbe opportuno valutare se consigliarne l’uso su ampia scala.

Accettare l’idea di dover passare tutta l’estate con le mascherine stringe il cuore ad ognuno di noi. In particolare noi europei conferiamo alla mimica facciale maggior peso che gli asiatici, per cui ci sentiremmo automaticamente più distanti emotivamente e, per certi versi, imbarazzati.

Ho provato alcune settimane or sono a fare visite con la mascherina per preservare sia me che i pazienti da un possibile contagio, ma mi sentivo a disagio. Ora preferisco attuare visite via Skype in cui posso vedere il volto del mio interlocutore.

Forse siamo tutti condizionati dall’aspetto simbolico che la copertura del volto ha rappresentato nell’ultimo secolo nella nostra società. Il fazzoletto del cowboy veniva utilizzato, oltre che per proteggere dalla polvere, anche per non farsi identificare durante una rapina. La copertura col burqa di alcune donne musulmane significa ai nostri occhi, al di là della loro scelta, sottomissione e dipendenza. Infine per noi occidentali la protezione della bocca e naso è solitamente espressione di malattia o di scarsa trasparenza. Questi simboli negativi ci mettono indubbiamente in difficoltà.

A questo punto, però, la nuova commissione deve mettere una parola fine a questo balletto ridicolo sulle mascherine, dicendo con largo anticipo, almeno due settimane prima del 3 maggio, se saranno o meno obbligatorie da utilizzare e in quali ambiti.

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