Non potrà abbracciare i figli di 10 anni fino alla fine dell’emergenza coronavirus. Dovrà accontentarsi dello schermo di un pc o di uno smartphone. Il motivo? “È un’infermiera ed è troppo esposta all’infezione”. Donatella, 39 anni, non è una delle operatrici sanitarie in prima linea nei reparti Covid. Presta servizio nel blocco operatorio di un piccolo nosocomio riunito di Anzio, in provincia di Roma, presidio che fa capo alla Asl Roma 6. Qui le persone affette dal virus Sars-Cov-2 nemmeno ci arrivano. I casi sospetti finiscono tutti al vicino ospedale dei Castelli Romani. Nonostante questo, il tribunale di Velletri l’8 aprile scorso ha deciso di sospendere temporaneamente l’affidamento dei bambini, una coppia di gemelli nati nel 2010, disponendo che trascorressero il periodo di distanziamento sociale presso l’abitazione del papà Fabrizio, 43 anni, da cui la donna si è separata definitivamente dal 2017. “Riguardo la frequentazione genitoriale materna dei minori – si legge nel provvedimento del giudice – conferma che la stessa, per l’esatto periodo di temporanea permanenza dei figli presso l’abitazione paterna, potrà essere assicurare mediante soluzioni di telefonate e videochiamate con l’uso di smartphone o tablet, a mezzo dei comuni sistemi applicativi”.

Fino al sorgere dell’emergenza coronavirus, l’affidamento dei figli era congiunto presso l’abitazione della madre, ad Anzio. Questo significa che il papà, un funzionario di banca, aveva diritto a vederli nel fine settimana e comunque ogni volta che ritenesse opportuno. Ma con l’arrivo del Covid-19 e dei decreti di lockdown, le cose sono cambiate. Secondo quanto scrivono gli avvocati di Fabrizio nel loro ricorso al tribunale, vi sarebbe stata “una radicale restrizione dei tempi di frequentazione paterna” dei bambini da parte della madre “al solo fine settimana alternato, vale a dire esclusivamente dal venerdì alla domenica ogni 15 giorni”. Preoccupato per la situazione che si andava profilando nel Paese, l’uomo ha iniziato a scrivere all’ex moglie messaggi whatsapp ed e-mail, chiedendole “un gesto di assoluto buon senso, responsabilità e sensibilità affinché̀ i bambini restino presso il padre per tutto il tempo necessario al superamento della fase più acuta della emergenza”. Inviti, a quanto affermano gli avvocati, sempre elusi dalla donna.

Con l’occasione delle vacanze di Pasqua arriva la rottura definitiva. Il 2 aprile i bimbi si recano qualche giorno a casa del papà, sempre ad Anzio, con l’accordo di tornare dalla mamma il 13 aprile, per Pasquetta. Ma il giudice di Velletri anticipa il verdetto e dispone l’affidamento temporaneo al padre. Alla base c’erano le 13 pagine di ricorso urgente formulato dai legali dell’uomo. “È fondato timore del ricorrente – si legge – che i figli, una volta che saranno (…) ricongiunti alla madre, siano esposti al rischio di contagio epidemico da coronavirus Covid19, a causa della attività inferimeristica esercitata presso il Presidio Ospedaliero di Anzio e Nettuno”. Missiva cui vengono allegati articoli della cronaca nazionale e locale in cui si racconta dei diffusi contagi fra il personale medico e si parla di possibili focolai (poi scongiurati) fra Anzio e Nettuno.

La decisione del tribunale di Velletri getta Donatella nello sconforto. La donna ha scritto una lunga missiva, che ha inviato anche al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Sono orgogliosa di essere un’infermiera ma non sono convinta di dover rinunciare al mio ruolo di mamma”, si legge nella lettera scritta di suo pugno: “Trovo tutto questo un atto di discriminazione nei confronti della figura infermieristica, una violazione grave del mio ruolo di madre, un danno notevole per la crescita dei miei figli”. In allegato, anche un articolo del Sole 24 Ore, riportante la decisione del Tribunale di Roma che afferma il diritto del coniuge non affidatario – in questo caso il papà dei gemelli – a visitare i figli anche durante il lockdown. “L’ospedale di Anzio e Nettuno – racconta Donatella a Ilfattoquotidiano.itnon è nel circuito Covid. Lì lavoriamo con tutte le precauzioni. È più facile che mi prenda il virus facendo la spesa che andando a lavorare”.

Affermazioni, queste ultime, suffragate da una lettera che il direttore sanitario della Asl Roma 6, Ciriaco Consolante, le ha inviato in segno di solidarietà e attestazione legale. “Gli utenti che dovessero presentarsi al pronto soccorso – scrive il dirigente – con sospetto di malattia virale sono visitati all’esterno della struttura da medici e infermieri del reparto”. E ancora: “Il ‘percorso febbre’ è spazialmente separato da quello destinato ad altri utenti”, “tutto il personale sanitario è fornito da dispositivi di protezione individuale”; inoltre, “l’attività’ chirurgica presso l’ospedale di Anzio è ridotta ed è limitata alle urgenze e a interventi su pazienti oncologici giudicati indifferibili”. Alla lettera del direttore Asl si è aggiunta anche la solidarietà dell’Ordine degli infermieri di Roma.

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