di Francesco Macario*
La situazione di Bergamo a dispetto dei dati ufficiali non mi sembra migliorata. Le cause che hanno ridotto la bergamasca a un lazzaretto sono note, a partire dagli stretti rapporti economici delle valli con la Cina, che sono stati probabilmente all’origine del contagio.
Già da febbraio il virus colpiva, ma in seguito alla distruzione della presenza della sanità pubblica, realizzata dalla regione Lombardia a favore dei grandi ospedali e della privatizzazione del sistema, nessuno se n’è accorto.
Se a febbraio avessimo cercato attivamente le polmoniti, avremmo potuto evitare il lockdown. Non avendo realizzato subito strategie di contenimento si è prodotto un disastro. Quando il contagio era evidente, errori hanno ridotto ospedali e Rsa in centri di diffusione del contagio.
Sono poi arrivate scelte scellerate. Sono state consentite le partite, i raduni di tifosi; si è favorito, scontando il biglietto dei mezzi pubblici, lo shopping in centro e così via. È chiaro dunque perché in queste zone il virus è dilagato.
E’ poi seguito l’errore di tutti gli errori: non chiudere immediatamente i comuni di Nembro e Alzano. E mentre Confindustria Bergamo diffondeva spot sul fatto che loro non si fermavano, non veniva dichiarata la zona rossa proprio per non fermarli. Sulla mancata zona rossa abbiamo poi assistito allo scaricabarile delle colpe tra Giuseppe Conte e Attilio Fontana, alla fine entrambi colpevoli.
Oggi i dati ufficiali della Lombardia parlano di circa 58.000 contagiati e 10.000 morti. Ma il dott. Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo, stima che nella sola bergamasca i contagiati siano da 300.000 a 400.000 (secondo i dati ufficiali sarebbero circa 10.000). I giornali stimano i morti tra i 5.000 e i 6.000 (secondo i dati ufficiali sarebbero circa 2.500), mentre secondo altre fonti, basate sui dati anagrafici, la stima si alza a circa 10.000.
In sostanza, secondo queste stime, nel bergamasco ha contratto a oggi il Covid-19 il 27% della popolazione, più di 1 abitante su 4.
Ora la magistratura ha aperto un’inchiesta con cui vuole fare luce sulla gestione dell’emergenza Covid-19 a Bergamo a partire dall’ospedale di Alzano Lombardo e per accertare se la mancata zona rossa abbia in qualche favorito la diffusione del virus e dunque se ci siano anche corresponsabilità politiche.
Oggi l’unico dato certo per capire cosa realmente succede è il numero decessi, che sono almeno 500 al giorno in Italia e che ciò non consente di dire che l’epidemia stia rallentando. Ancora oggi i tamponi vengono fatti solo a coloro che vengono ospedalizzati, spesso due volte al momento del ricovero e al momento della dimissione, quindi risulta ufficialmente che vi sono oggi meno casi accertati anche perché molti sono ricoverati a casa. Ma i contagi paiono invece nella realtà costanti, mentre continuano a non essere conteggiate, se pur certamente diminuite, le morti in abitazione.
Ieri si ammalavano gli anziani, oggi si ammalano anche i lavoratori obbligati a uscire. Il decreto governativo ha infatti stabilito il lockdown solo per certe aziende che il codice Ateco individua, in base al tipo di attività, e che possono stare aperte perché necessarie. Le aziende restate operative a Bergamo sono tantissime. E ora altre stanno riaprendo in deroga.
Gira tra i lavoratori la voce di aziende che repentinamente hanno mutato il codice Ateco, e di altre che si sono offerte di dichiarare altre aziende nella loro filiera al fine di far loro ottenere la deroga alla chiusura.
Molte aziende riaprono con una semplice autocertificazione.
In prefettura sono arrivate 2.372 tra richieste di autorizzazioni, dalle aziende che possono stare aperte, e moltissime, pare 1800 comunicazioni, di quelle che chiedono la deroga.
Si calcola che il 60% delle aziende manifatturiere o non ha mai chiuso, o ha ripreso o sta riprendendo il lavoro nonostante la bergamasca sia l’epicentro dell’epidemia.
I sindacati hanno già denunciato che hanno firmato protocolli per esempio solo con 30% delle aziende metalmeccaniche. Ma denunciano anche che più della metà delle aziende non è pronta. Spesso si riparte, o prosegue, a lavorare senza i Dpi, i termometri e una nuova organizzazione adeguata. Condizioni probabilmente che porteranno in breve a una nuova crescita del contagio.
Eppure mentre si prosegue a indicare in ciclisti e podisti gli untori del contagio si insiste a tenere aperte le attività produttive, anche palesemente non essenziali come quelle delle armi, dove sono concentrati e si contagiano decine di migliaia di lavoratori.
Capiamo che l’idea di fare ripartire l’economia è importantissima, ma noi comunisti, nel nostro ruolo di cassandre seriali, lo diciamo con chiarezza che così il contagio imperverserà per un periodo lungo e che anzi stiamo rischiando di avere tra un pò un’esplosione ulteriore che potrebbe anche essere peggiore della prima.
* segretario del PRC del Bergamasco