Mentre contiamo ancora morti e contagiati, non è sicuramente il momento di fare polemiche, men che meno politiche. Ma la ricerca della verità è un’altra cosa. E quelle che stanno emergendo da inchieste giornalistiche e giudiziarie e dalle commissioni d’indagine regionali e ministeriali non sono semplici polemiche: sono accuse gravissime sulle quali si deve fare piena luce, senza lo scaricabarile vergognoso tra Comuni, Regioni, Governo cui stiamo assistendo in queste ore. Lo dobbiamo alle tante, troppe, vittime che forse – restiamo dubitativi – si potevano evitare.
Accuse e inchieste che riguardano tutta l’Italia, ma sono particolarmente gravi in Lombardia, la regione non solo più colpita dal virus, ma anche quella della rivendicata “eccellenza sanitaria”. Ecco perché tutti – istituzioni lombarde ma anche governo centrale – devono uscire dal rimpallo di responsabilità e rispondere, ciascuno per quanto gli compete, sulle tre bombe sanitarie: mancata zona rossa nel bergamasco, ecatombe nelle Rsa e nei centri anziani, mancato approvvigionamento di dispositivi di protezione per sanitari e cittadini.
Mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro
Con contagi antecedenti a Codogno – pare del 15 febbraio – la provincia di Bergamo potrebbe essere stata il primo vero focolaio italiano. Ma, mentre a Codogno si è chiuso tutto in meno di 24 ore, qui si sono persi giorni, settimane preziose, che hanno favorito la diffusione del virus. E questo nonostante gli allarmi lanciati anche dai sanitari, che chiesero ad esempio la chiusura del Pronto Soccorso dell’ospedale di Alzano. Invece niente: chiuso e riaperto nel giro di poche ore per “ordini superiori”, dicono alcuni dipendenti, che denunciano anche la mancata sanificazione e l’assenza di percorsi alternativi per gli infetti.
Ma la vera questione è: perché la Regione Lombardia non ha istituito subito, già il 3 marzo con l’ok del Comitato tecnico-scientifico, la zona rossa ad Alzano e Nembro, visto che ne aveva il potere? Perché aspettare il governo, giorni dopo?
Non è grave che l’assessore Giulio Gallera dica oggi: “effettivamente c’era una legge che ce lo consentiva” (infatti regioni come l’Emilia Romagna hanno creato zone rosse in piena autonomia senza aspettare il governo), “ho approfondito”? Com’è possibile che non si fosse informato prima?
Oppure lo sapeva, ma la Regione Lombardia non voleva la zona rossa nel bergamasco – uno dei distretti industriali più ricchi d’Italia, con un fatturato annuo di 850 milioni di euro – come risulta dalle sue dichiarazioni in quei giorni (28 febbraio: “Non riteniamo di gestire con zona rossa Alzano”; 29 febbraio: “Nuove zone rosse non sono all’ordine del giorno”; 1 marzo: “La situazione rimane stabile. Alzano ha un numero importante di contagi, ci stiamo lavorando, ma le zone rosse restano quelle che sono”) e da quello che ha detto il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti al Fatto: “Nelle riunioni che abbiamo avuto con cadenza quasi quotidiana tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, la Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una eventuale zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro”? Fontana e Gallera confermano o smentiscono?
E mentre Confindustria Bergamo realizzava il video Bergamo is running, rilanciato sui social anche dal sindaco Giorgio Gori – che, ancora il 5 marzo, twittava: “Bergamo è forte. Guai a fermarsi. Nervi saldi, seguiamo le prescrizioni, ma non c’è motivo per non uscire di casa” – il contagio si allargava.
La Regione Lombardia deve rispondere a queste domande e – soprattutto – ai famigliari delle vittime e ai sanitari che denunciano. Uno su tutti: il tecnico di una struttura Covid di Bergamo, che il 7 aprile ha scritto una lettera al Corriere della Sera usando parole inequivocabili: “Dopo Caporetto, l’intero governo e il generale Cadorna diedero le dimissioni. Mi aspetto che appena finirà l’emergenza l’intero consiglio lombardo e tutti i responsabili delle Ats rassegnino le dimissioni per quanto commesso. E badi bene che non faccio distinzione politica tra chi ha usato slogan (“Milano non si ferma”, oppure dirette Facebook decantando “riapriamo tutto”), ma accuso apertamente chi ha anteposto gli interessi economici di un territorio alla salute pubblica macchiandosi le mani della responsabilità di una simile strage. Io sono un tecnico sanitario che lavora in una struttura Covid di Bergamo. Ci chiamano eroi, ma preferisco la definizione ‘leoni per agnelli’. Vi prego di continuare a dar voce a questa vicenda perché non c’è peggior peccato che cancellare la memoria dei martiri”. Lui – non io – non merita una risposta?
Centri anziani e RSA
Altra bomba sanitaria lombarda, ma purtroppo non solo, visto che inchieste e allarmi ci sono in tutta Italia (Piemonte, Lazio…), con i primi indagati per epidemia colposa e omicidio colposo. Ma certo in Lombardia le dimensioni sono di un’ecatombe: oltre 1.800 morti da febbraio nelle Rsa lombarde, quasi la metà del totale nazionale (150 morti al Pio Albergo Trivulzio, 140 all’Istituto Don Gnocchi, e i dati sono purtroppo in aggiornamento).
E anche qui si deve chiamare in causa la Regione Lombardia (che nomina tra l’altro le direzioni sanitarie), almeno per quanto concerne la delibera dell’8 marzo con cui si chiedeva una ricognizione nelle Residenze Sanitarie Assistenziali per verificare se si potessero trasferire pazienti Covid-19 in via di miglioramento e liberare così posti negli ospedali al collasso.
Ecco la bomba: infetti portati là dove ci sono anziani – com’è noto i più esposti al virus e per di più malati cronici o immunodepressi – mentre contestualmente si riduceva il personale medico per impiegarlo negli ospedali, e chi restava in servizio non poteva proteggere se stesso e gli altri con mascherine (chi l’ha fatto è stato minacciato o licenziato).
Per non parlare dell’assenza di tamponi o percorsi alternativi, come risulterebbe da denunce e perquisizioni di questi giorni. E a chi – come l’Associazione delle Case di riposo del Bergamasco – chiedeva la chiusura degli ospizi almeno alle visite dei parenti, la Regione diceva no (l’ha detto in queste ore anche il sindaco Gori).
Vogliamo credere all’assessore Gallera, che dice che tutto si è svolto correttamente, i pazienti Covid sono stati separati dagli altri in reparti appositamente allestiti e “non c’è stata nessuna contaminazione”. Ma certo ciò che si ipotizzava all’inizio dell’epidemia a mo’ di monito – si sceglierà chi salvare e chi abbandonare al suo destino, come gli anziani nelle case di riposo – appare adesso inquietantemente verosimile. Se diventerà vero, lo decideranno le inchieste.
Approvvigionamento materiali sanitari
È fuor di dubbio che siano mancati – e manchino – tamponi, mascherine, camici per il personale sanitario (al punto che li abbiamo visti coprirsi, per proteggersi, anche con sacchetti dell’immondizia), visiere. Il Governatore Attilio Fontana ha puntato il dito: “Da Roma solo briciole”. E non abbiamo motivo, anche in questo caso, di dubitare di ritardi e inefficienze del governo centrale e dello Stato. Sicuramente ci sono stati.
Ma perché la ricca ed efficiente Lombardia non ha provveduto per tempo a fare scorte, visto che la prima circolare del Ministero della Salute che invita le strutture sanitarie ad attrezzarsi è del 22 gennaio? Perché la lettera del 4 febbraio della Fimmg della Lombardia, un sindacato dei medici di famiglia, alla Regione per chiedere un inventario dei Dpi esistenti, non ebbe risposta?
Perché aspettare Roma, se la gestione sanitaria – anche e soprattutto per gli acquisti – è regionale? Mica saranno federalisti o centralisti a seconda delle convenienze (regionalizzare il positivo e nazionalizzare le magagne), vero? Perché la Lombardia non ammette anche i propri ritardi, le mancate scorte, gli acquisti fantasma, come l’ordine di metà febbraio per 4 milioni di mascherine che si è dovuto annullare perché si è scoperto che l’azienda produttrice era inesistente? Infine, perché – se la situazione è questa – obbligare con un’ordinanza i cittadini lombardi a indossare mascherine, se non si trovano o si trovano solo a prezzi da strozzinaggio?
Con i tanti morti e i contagiati che ancora contiamo, non è il momento di polemiche politiche, di gare sciacalle tra governatori e di governatori col governo. Il problema non è il colore politico delle istituzioni, bensì la verità e la giustizia che dobbiamo alle vittime, alle vite umane che si sono perse, ai loro famigliari e ai sanitari che stanno dando se stessi, spesso a costo della vita, per combattere il mostro e salvare persone. È per tutti loro che poniamo domande ed è a tutti loro che si devono delle risposte. In attesa di quelle della magistratura. Nient’altro che la verità.
Luisella Costamagna
Giornalista e autrice
Politica - 15 Aprile 2020
Coronavirus, non è il momento delle polemiche. Ma la ricerca della verità è un’altra cosa
Mentre contiamo ancora morti e contagiati, non è sicuramente il momento di fare polemiche, men che meno politiche. Ma la ricerca della verità è un’altra cosa. E quelle che stanno emergendo da inchieste giornalistiche e giudiziarie e dalle commissioni d’indagine regionali e ministeriali non sono semplici polemiche: sono accuse gravissime sulle quali si deve fare piena luce, senza lo scaricabarile vergognoso tra Comuni, Regioni, Governo cui stiamo assistendo in queste ore. Lo dobbiamo alle tante, troppe, vittime che forse – restiamo dubitativi – si potevano evitare.
Accuse e inchieste che riguardano tutta l’Italia, ma sono particolarmente gravi in Lombardia, la regione non solo più colpita dal virus, ma anche quella della rivendicata “eccellenza sanitaria”. Ecco perché tutti – istituzioni lombarde ma anche governo centrale – devono uscire dal rimpallo di responsabilità e rispondere, ciascuno per quanto gli compete, sulle tre bombe sanitarie: mancata zona rossa nel bergamasco, ecatombe nelle Rsa e nei centri anziani, mancato approvvigionamento di dispositivi di protezione per sanitari e cittadini.
Mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro
Con contagi antecedenti a Codogno – pare del 15 febbraio – la provincia di Bergamo potrebbe essere stata il primo vero focolaio italiano. Ma, mentre a Codogno si è chiuso tutto in meno di 24 ore, qui si sono persi giorni, settimane preziose, che hanno favorito la diffusione del virus. E questo nonostante gli allarmi lanciati anche dai sanitari, che chiesero ad esempio la chiusura del Pronto Soccorso dell’ospedale di Alzano. Invece niente: chiuso e riaperto nel giro di poche ore per “ordini superiori”, dicono alcuni dipendenti, che denunciano anche la mancata sanificazione e l’assenza di percorsi alternativi per gli infetti.
Ma la vera questione è: perché la Regione Lombardia non ha istituito subito, già il 3 marzo con l’ok del Comitato tecnico-scientifico, la zona rossa ad Alzano e Nembro, visto che ne aveva il potere? Perché aspettare il governo, giorni dopo?
Non è grave che l’assessore Giulio Gallera dica oggi: “effettivamente c’era una legge che ce lo consentiva” (infatti regioni come l’Emilia Romagna hanno creato zone rosse in piena autonomia senza aspettare il governo), “ho approfondito”? Com’è possibile che non si fosse informato prima?
Oppure lo sapeva, ma la Regione Lombardia non voleva la zona rossa nel bergamasco – uno dei distretti industriali più ricchi d’Italia, con un fatturato annuo di 850 milioni di euro – come risulta dalle sue dichiarazioni in quei giorni (28 febbraio: “Non riteniamo di gestire con zona rossa Alzano”; 29 febbraio: “Nuove zone rosse non sono all’ordine del giorno”; 1 marzo: “La situazione rimane stabile. Alzano ha un numero importante di contagi, ci stiamo lavorando, ma le zone rosse restano quelle che sono”) e da quello che ha detto il presidente di Confindustria Lombardia Bonometti al Fatto: “Nelle riunioni che abbiamo avuto con cadenza quasi quotidiana tra fine febbraio e i primi giorni di marzo, la Regione è sempre stata d’accordo con noi nel non ritenere utile, ma anzi dannosa, una eventuale zona rossa sul modello Codogno per chiudere i comuni di Alzano e Nembro”? Fontana e Gallera confermano o smentiscono?
E mentre Confindustria Bergamo realizzava il video Bergamo is running, rilanciato sui social anche dal sindaco Giorgio Gori – che, ancora il 5 marzo, twittava: “Bergamo è forte. Guai a fermarsi. Nervi saldi, seguiamo le prescrizioni, ma non c’è motivo per non uscire di casa” – il contagio si allargava.
La Regione Lombardia deve rispondere a queste domande e – soprattutto – ai famigliari delle vittime e ai sanitari che denunciano. Uno su tutti: il tecnico di una struttura Covid di Bergamo, che il 7 aprile ha scritto una lettera al Corriere della Sera usando parole inequivocabili: “Dopo Caporetto, l’intero governo e il generale Cadorna diedero le dimissioni. Mi aspetto che appena finirà l’emergenza l’intero consiglio lombardo e tutti i responsabili delle Ats rassegnino le dimissioni per quanto commesso. E badi bene che non faccio distinzione politica tra chi ha usato slogan (“Milano non si ferma”, oppure dirette Facebook decantando “riapriamo tutto”), ma accuso apertamente chi ha anteposto gli interessi economici di un territorio alla salute pubblica macchiandosi le mani della responsabilità di una simile strage. Io sono un tecnico sanitario che lavora in una struttura Covid di Bergamo. Ci chiamano eroi, ma preferisco la definizione ‘leoni per agnelli’. Vi prego di continuare a dar voce a questa vicenda perché non c’è peggior peccato che cancellare la memoria dei martiri”. Lui – non io – non merita una risposta?
Centri anziani e RSA
Altra bomba sanitaria lombarda, ma purtroppo non solo, visto che inchieste e allarmi ci sono in tutta Italia (Piemonte, Lazio…), con i primi indagati per epidemia colposa e omicidio colposo. Ma certo in Lombardia le dimensioni sono di un’ecatombe: oltre 1.800 morti da febbraio nelle Rsa lombarde, quasi la metà del totale nazionale (150 morti al Pio Albergo Trivulzio, 140 all’Istituto Don Gnocchi, e i dati sono purtroppo in aggiornamento).
E anche qui si deve chiamare in causa la Regione Lombardia (che nomina tra l’altro le direzioni sanitarie), almeno per quanto concerne la delibera dell’8 marzo con cui si chiedeva una ricognizione nelle Residenze Sanitarie Assistenziali per verificare se si potessero trasferire pazienti Covid-19 in via di miglioramento e liberare così posti negli ospedali al collasso.
Ecco la bomba: infetti portati là dove ci sono anziani – com’è noto i più esposti al virus e per di più malati cronici o immunodepressi – mentre contestualmente si riduceva il personale medico per impiegarlo negli ospedali, e chi restava in servizio non poteva proteggere se stesso e gli altri con mascherine (chi l’ha fatto è stato minacciato o licenziato).
Per non parlare dell’assenza di tamponi o percorsi alternativi, come risulterebbe da denunce e perquisizioni di questi giorni. E a chi – come l’Associazione delle Case di riposo del Bergamasco – chiedeva la chiusura degli ospizi almeno alle visite dei parenti, la Regione diceva no (l’ha detto in queste ore anche il sindaco Gori).
Vogliamo credere all’assessore Gallera, che dice che tutto si è svolto correttamente, i pazienti Covid sono stati separati dagli altri in reparti appositamente allestiti e “non c’è stata nessuna contaminazione”. Ma certo ciò che si ipotizzava all’inizio dell’epidemia a mo’ di monito – si sceglierà chi salvare e chi abbandonare al suo destino, come gli anziani nelle case di riposo – appare adesso inquietantemente verosimile. Se diventerà vero, lo decideranno le inchieste.
Approvvigionamento materiali sanitari
È fuor di dubbio che siano mancati – e manchino – tamponi, mascherine, camici per il personale sanitario (al punto che li abbiamo visti coprirsi, per proteggersi, anche con sacchetti dell’immondizia), visiere. Il Governatore Attilio Fontana ha puntato il dito: “Da Roma solo briciole”. E non abbiamo motivo, anche in questo caso, di dubitare di ritardi e inefficienze del governo centrale e dello Stato. Sicuramente ci sono stati.
Ma perché la ricca ed efficiente Lombardia non ha provveduto per tempo a fare scorte, visto che la prima circolare del Ministero della Salute che invita le strutture sanitarie ad attrezzarsi è del 22 gennaio? Perché la lettera del 4 febbraio della Fimmg della Lombardia, un sindacato dei medici di famiglia, alla Regione per chiedere un inventario dei Dpi esistenti, non ebbe risposta?
Perché aspettare Roma, se la gestione sanitaria – anche e soprattutto per gli acquisti – è regionale? Mica saranno federalisti o centralisti a seconda delle convenienze (regionalizzare il positivo e nazionalizzare le magagne), vero? Perché la Lombardia non ammette anche i propri ritardi, le mancate scorte, gli acquisti fantasma, come l’ordine di metà febbraio per 4 milioni di mascherine che si è dovuto annullare perché si è scoperto che l’azienda produttrice era inesistente? Infine, perché – se la situazione è questa – obbligare con un’ordinanza i cittadini lombardi a indossare mascherine, se non si trovano o si trovano solo a prezzi da strozzinaggio?
Con i tanti morti e i contagiati che ancora contiamo, non è il momento di polemiche politiche, di gare sciacalle tra governatori e di governatori col governo. Il problema non è il colore politico delle istituzioni, bensì la verità e la giustizia che dobbiamo alle vittime, alle vite umane che si sono perse, ai loro famigliari e ai sanitari che stanno dando se stessi, spesso a costo della vita, per combattere il mostro e salvare persone. È per tutti loro che poniamo domande ed è a tutti loro che si devono delle risposte. In attesa di quelle della magistratura. Nient’altro che la verità.
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Coronavirus, Trentino: il governatore leghista Fugatti aumenta lo stipendio del suo dirigente. “Schiaffo a operatori sanitari in prima linea”
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Amsterdam, 3 feb. –(Adnkronos) - E' nell'ottica di una semplificazione "in linea con i cambiamenti comunicati" a dicembre al momento dell'uscita di Carlos Tavares, la riorganizzazione annunciata questa mattina da Stellantis. Un 'aggiornamento' che rafforza il ruolo delle singole regioni, accorpa ingegneria e software, rilancia su qualità e marketing e vede l'uscita di scena di alcuni top manager. Decisioni - si spiega in una nota - che "consentono il giusto equilibrio tra responsabilità regionali e globali, facilitando la rapidità delle scelte e la loro esecuzione" e "rafforzano ulteriormente l’impegno di Stellantis nell’ascoltare i propri clienti" ponendo "le basi per una rinnovata crescita".
A livello di management, Linda Jackson lascia il gruppo e al vertice del brand Peugeot è sostituita da Alain Favey. Abbandona anche Yves Bonnefont, Chief Software Office, visto che "le attività software sono ora integrate in un’organizzazione di sviluppo e tecnologia del prodotto guidata da Ned Curic allo scopo di semplificare il processo di immissione sul mercato di prodotti e servizi innovativi per tutti i brand in tutti i mercati in cui l’azienda è presente". Nuovo responsabile anche per Jeep, con la nomina di Bob Broderdorf, dal momento che Antonio Filosa - che mantiene il suo attuale ruolo di COO delle Regioni d’America - assume la leadership globale dell’ente Quality, definito "fulcro della promessa dell’azienda ai clienti".
Nuovo capo anche per DS, dal momento che Olivier François - che mantiene la responsabilità di Fiat e Abarth - guiderà un nuovo Marketing Office, per seguire meglio le attività di promozione dei singoli brand e "supportarli al meglio, in particolare attraverso la pubblicità, gli eventi globali e le sponsorizzazioni". Gli enti Corporate Affairs e Communications sono stati uniti sotto la guida di Clara Ingen-Housz e Anne Abboud è stata nominata alla guida dell’unità veicoli commerciali di Stellantis Pro One.
Come sottolinea il Chairman di Stellantis John Elkann "gli annunci di oggi semplificheranno ulteriormente la nostra organizzazione e aumenteranno la nostra agilità e il rigore dell’esecuzione a livello locale. Non vediamo l’ora di guidare la crescita fornendo ai nostri clienti una scelta ancora più ampia di straordinari veicoli a combustione, ibridi ed elettrici”. Confermata la linea sul processo di nomina del nuovo Chief Executive Officer che "è in corso, gestito da un Comitato Speciale del Consiglio d’Amministrazione, e si concluderà entro la prima metà del 2025".
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Siamo vicini ad Antonio Tajani, alla sua famiglia e soprattutto a suo figlio Filippo, vittima di un malore durante una partita di calcio. Gli auguriamo una pronta guarigione, e che possa tornare presto in campo”. Lo dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Esprimo il mio più profondo riconoscimento alla Brigata Sassari per il coraggio, la dedizione e l’alto senso del dovere dimostrato durante tutta la missione Unifil. Ringrazio il generale Messina, con il quale sono sempre rimasta in contatto per essere costantemente informata sullo stato del contingente. I nostri soldati hanno affrontato sfide complesse e delicate, portando avanti il nome dell’Italia con grande professionalità. Il loro impegno ha garantito la stabilità in una regione così fragile, e sono fiera di come abbiano rappresentato la nostra Nazione". Lo ha affermato la deputata di Fratelli d'Italia Barbara Polo, componente della commissione Difesa, al rientro del contingente della Brigata Sassari.
"Da sarda, -ha aggiunto- non posso che essere estremamente orgogliosa nel vedere i miei concittadini impegnati con tanto valore nelle operazioni internazionali. La Brigata Sassari è il fiore all’occhiello del nostro esercito, una realtà che continua a distinguersi per preparazione e coraggio”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Ci mancavano i sedicenti comitati civici che spalleggiano gli occupanti abusivi di immobili a rendere sempre più invivibile il quartiere Esquilino, uno dei più belli di Roma da tempo in mano ad immigrati clandestini e bande criminali. Ne ha fatto le spese un bravo giornalista come Luca Telese aggredito per aver difeso i presidi di legalità che dopo le denunce della Lega le istituzioni stanno predisponendo. Telese chiamato ad un’assemblea pubblica da un sedicente Polo Civico ha avuto l'ardire di affermare che cancellate di protezione dei luoghi di socialità non sono poi da demonizzare. Per difendere la possibilità di vivere in pace e nella legalità all'Esquilino di Roma, come in tutte le periferie d'Italia, è necessario che venga subito definitivamente approvato il ddl sicurezza”. Lo afferma il deputato della Lega ed ex magistrato Simonetta Matone.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Nella loro foga alla ricerca del complotto, di qualcuno su cui scaricare le proprie responsabilità, di uno spauracchio a cui assegnare colpe per nascondere le inadeguatezze del governo Meloni, i colleghi di Fratelli d’Italia hanno nuovamente toccato inesplorate vette di contraddizione. L’ultimo attacco frontale è stato riservato a Gimbe e al suo presidente Cartabellotta, colpevole di aver detto con dati inequivocabili che il decreto dell’Esecutivo sulle liste d’attesa è fermo al palo e che solo uno dei sei decreti attuativi è stato già approvato". Lo afferma Andrea Quartini, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Affari sociali della Camera e coordinatore del Comitato politico salute e inclusione sociale del M5S.
"Oltre a usare parole estremamente gravi nei confronti di chi porta avanti con serietà e professionalità un preziosissimo lavoro scientifico a tutela della sanità, il senatore Zaffini -aggiunge l'esponente pentastellato- ha però di fatto confermato i ritardi denunciati da Cartabellotta, sebbene secondo lui siano in realtà tempi record. Una contraddizione decisamente bizzarra. E nel frattempo, i medici di medicina generale operano come meglio credono e la proposta di Forza Italia in merito è ancora ben lontana dal concretizzarsi".
"Al presidente Cartabellotta -conclude Quartini- va tutta la mia solidarietà, visto che ultimamente è stato identificato come avversario politico, alla stregua di una forza di opposizione, come persino Bruno Vespa aveva avuto l’indecenza di dire. Questo attacco scomposto, in ogni caso, non fa che confermare la linea di questa maggioranza: è sempre colpa degli altri. Dai magistrati, a coloro che distribuiscono la benzina, fino a Gimbe”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - "Il nemico del giorno del governo è la Fondazione Gimbe e in particolare il suo presidente Nino Cartabellotta, accusato da esponenti di maggioranza di essere un bugiardo che falsifica i dati perché ‘cavalier servente’ e comunista. Affermazioni di una gravità inaudita contro un organismo indipendente e autorevole come Gimbe, che fa un grande lavoro di raccolta e verifica dei dati sanitari. La colpa di Cartabellotta? Aver fatto notare che a sei mesi dall’approvazione del decreto liste d’attesa mancano ancora cinque dei sei decreti attuativi, cosa tra l’altro confermata dalla stessa maggioranza". Lo afferma Mariolina Castellone, senatrice M5S e vicepresidente del Senato.
"Ancora una volta, questa destra cerca di trasferire su altri le colpe della propria incapacità e si produce in un costante bullismo contro professionisti che fanno il proprio lavoro, cercando di intimorirli. Per fortuna -conclude l'esponente pentastellata- ci sono i numeri a parlare e a smentire la propaganda di governo. E ci siamo noi a tutelare le voci libere e indipendenti”.
Roma, 2 feb. (Adnkronos) - “Quello delle liste di attesa è un tema che riguarda non solo la salute ma anche la dignità della persona. Un tema che richiede senso di responsabilità e che non riscontro nelle dichiarazioni sparate a raffica da esponenti di Pd, 5 stelle e sinistra. Gli stessi che ci hanno consegnato un Servizio sanitario nazionale allo sfascio e per il quale ci stiamo adoperando per rimetterlo in sesto. Il collega Cartabellotta e la Fondazione Gimbe meritano rispetto, in quanto sono giustificati per la mancata conoscenza del lavoro che il Governo ha messo in campo sui decreti attuativi. Non posso al contrario giustificare i colleghi senatori che siedono nella commissione Sanità del Senato presieduta dal presidente Zaffini o i presidenti di Regione che prendono parte alla Conferenza Stato-Regioni". Lo afferma il senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Sanità in Senato.
"Se non sanno -aggiunge- devo purtroppo arguire che dormono mentre se, come penso, sanno e attaccano il presidente Zaffini, che ha solo voluto puntualizzare il lavoro del Governo in risposta alle valutazioni della Fondazione Gimbe, è grave perché si tratta di un comportamento in grave mala fede. Si può anche non conoscere quanto si stia facendo sul tema, ma il senso di responsabilità vuole che prima di sparare a salve ci si informi e ci si documenti . In questo modo si prenderebbe facilmente atto che quanto annunciato dalla Fondazione Gimbe non è proprio puntuale perché -e lo ha spiegato bene il presidente Zaffini- la situazione riguardo ai decreti attuativi è la seguente: Criteri di funzionamento della piattaforma nazionale e regionali delle liste d’attesa: Il decreto è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni. In attesa del parere della Conferenza Stato Regioni alla quale è stato inviato il 13 settembre 2024".
"Funzionamento della piattaforma nazionale di monitoraggio in coerenza con il modello di classificazione e stratificazione della popolazione, risulta ‘fatto’. Poteri sostitutivi del ministero della Salute in caso di inottemperanza delle Regioni e il rispetto agli obiettivi della legge: decreto trasmesso in Conferenza Stato-Regioni il 6 novembre 2024. Linee di indirizzo per l’attivazione dei sistemi di disdetta da parte dei Cup: il decreto è in fase di definizione da attuare con il Piano nazionale delle liste d’attesa in lavorazione predisposto dalla Direzione generale della Programmazione sanitaria già condiviso con Regioni e Mef. Metodologia per la definizione del fabbisogno di personale del Ssn (superamento tetti di spesa): il decreto è in via di ultimazione. Il Piano di azione per rafforzare i servizi sanitari e sociosanitari (nelle Regioni del Sud destinatarie dei fondi del Piano nazionale Equità e salute): decreto trasmesso alla conferenza Stato-Regioni il giorno 8 gennaio 2025".
"In questo confronto tra Zaffini e i nostri avversari politici -conclude Zullo- si può cogliere la differenza tra noi e loro: noi lavoriamo per mettere riparo agli sfasci che ci hanno lasciato in eredità, loro non sanno andare oltre l’irresponsabile e deleteria polemica sterile, dannosa dell’immagine del nostro Servizio sanitario nazionale”.