Mark Hughes si porta avanti il pallone con la testa ed entra in area. Quando calcia con il sinistro sa già dove andrà a finire la sfera. Lo sanno tutti, a Stamford Bridge. Sia i 35mila tifosi del Chelsea. Sia i 3mila tifosi del Vicenza. Perché ci sono favole che non hanno bisogno del lieto fine per sconfinare nell’epica. Mark Hughes è a terra. Osserva il pallone rimbalzare davanti a Pierluigi Brivio prima di terminare in fondo alla rete. Solo allora si rimette in piedi e inizia ad ancheggiare verso i suoi tifosi. Lentamente. Con le braccia al cielo e i palmi delle mani verso l’alto, come in una funzione religiosa collettiva.
È la sera del 16 aprile 1998 e il Chelsea ha appena segnato il gol del 3-1. Ed è una rete pesantissima. È la rete che elimina il Vicenza dalle semifinali di Coppa delle Coppe, che restaura la dittatura del più forte. A fine partita Hughes si presenta davanti alle telecamere. Ha la faccia tirata di chi non ha ancora smaltito l’adrenalina. “Fra tutte quelle della mia carriera – dice – questa sul Vicenza rappresenta una delle soddisfazioni più grandi. Eravamo sotto una pressione enorme“. Una frase che sembra un’iperbole per l’uomo che nella finale di Coppa delle Coppe del 1991, con la maglia dello United, ha seppellito il Barcellona sotto una doppietta. Invece è sincero. Perché in quel doppio confronto il Chelsea si è scoperto molto più fragile e impaurito del previsto. La semifinale di andata si gioca il 2 aprile al Menti. I biancorossi ci arrivano dopo aver eliminato Legia Varsavia, Shakhtar e Roda. Poi fanno i conti con l’urna di Losanna. “Se potessi scegliere eviterei il Chelsea”, dice Guidolin alla vigilia dei sorteggi. Una preghiera che resterà inascoltata.
Il giorno prima del match una pioggia insistente si abbatte sul Veneto, rendendo insidioso il terreno del Menti. “Il Chelsea è talmente più potente di noi che ha trasportato qui il tempo inglese” si lascia andare Guidolin. In campo, però, il Vicenza domina. Segna con Lamberto Zauli e si divora almeno altre tre occasioni. Potrebbe essere una goleada, ma è una vittoria striminzita. Al triplice fischio Pasquale Luiso stringe fra le mani la maglietta di Vialli. “A inizio gara mi ha fatto i complimenti e mi ha dato appuntamento a Londra – racconta il Toro di Sora – Abbiamo giocato con intelligenza, il risultato meritato”. Capitan Mimmo Di Carlo, invece, non ha scambiato la maglia con nessuno. “Non l’ho voluta – spiega – me la prendo al ritorno, quando potremo festeggiare davvero, adesso abbiamo vinto solo il primo tempo“.
Due settimane più tardi, a Londra, il Chelsea deve ristabilire le gerarchie. Vialli, che il 12 febbraio è subentrato a Gullit nel ruolo di player-manager, è sommerso dalle critiche. In tanti sono convinti che Guidolin gli abbia incartato la partita. Anche perché nessuno ha capito la scelta schierare un 4-5-1 con Zola largo a sinistra. Magic Box è perplesso. Deve riconquistare la Nazionale e non può permettersi prestazioni opache. Ma non può neanche schierarsi pubblicamente contro Vialli. I due sono molto amici, tanto che ogni volta che c’è un big match di Serie A Gianluca si fa invitare a casa di Gianfranco. Cena, partita, chiacchiere. Un rituale che ora rischia di svanire. Vialli “sa benissimo che rendo meglio da seconda punta – dice Zola dopo la sfida del Menti – però mi ha chiesto un sacrificio per la squadra e io l’ho accontentato volentieri”. Un’eccezione che non deve diventare regola. Così Vialli trascorre la vigilia a sfogliare la margherita per decidere chi lasciare fuori fra Zola, Flo e se stesso. E alla fine opta per il norvegese.
Vicenza, invece, si è trasformata in un paese delle favole. In piazza dei Signori è stato allestito un maxischermo, mentre la società ha realizzato una giacca commemorativa con l’immagine dello Stamford Bridge e la scritta “Io c’ero”. Costa 20mila lire ed è andata a ruba. Sull’aereo della squadra sale anche il sindaco, Marino Quaresim. Lo scorta un gruppo di tecnici che ha il compito di visitare gli stadi più belli della City per prendere spunto per la ristrutturazione del Menti. Molti giocatori del Vicenza non sono neanche mai stati a Londra. Viviani e Di Carlo ci
sono andati per qualche giorno in estate. In vacanza. Senza saperlo sono finiti nel ristorante dove cena abitualmente il tecnico del Chelsea. Sono rimasti sorpresi nel trovare nel menù gli “spaghetti alla Vialli”. Così hanno scritto un bigliettino: “Caro Vialli, ci vediamo in finale!”. La rifinitura assomiglia molto a una festa. Ai biancorossi non sembra vero di giocare in uno stadio senza le barriere, così in molti chiedono di preciso dove saranno sistemati i loro tifosi. Viviani, che ha 7 maglie dello United e sogna di scambiare la sua con quella di Hughes, si è allenato con la casacca dell’Arsenal sotto la tuta, nella speranza di ricevere qualche influsso positivo.
E il suo piano sembra funzionare. Al 32’ Luiso trasforma un tocco morbido di Zauli nel suo ottavo gol nella competizione. È l’apoteosi. Il Toro di Sora si mette a correre con l’indice destro davanti alle labbra per zittire Stamford Bridge. Ma il silenzio dura poco, visto che dopo 3’ Poyet segna l’1-1. Il Vicenza reagisce e a fine primo tempo Luiso trova ancora la rete. Solo che l’arbitro, il francese Marc Batta, annulla per sospetto fuorigioco. È l’inizio della fine. Vialli capisce che a destra Viviani non ha più fiato. Così si sposta sulla fascia e inizia a mettere in mezzo un cross dopo l’altro. Su uno di questi palloni si avventa Zola. Di testa. L’attaccante tascabile, alto un metro e 68, buca Brivio e realizza il 2-1. Serve ancora un gol. E arriva puntuale al 76’ quando Hughes controlla di testa e con il sinistro sgretola le speranze del Vicenza. Prima della fine c’è tempo per l’invasione di campo di una tifosa vestita solo con mutande argento e tacchi neri. “Il Chelsea è più forte, Vialli è più bravo e fortunato di me” dice desolato Guidolin a fine partita. Tutto mentre i tifosi dei Blues appendono lo striscione “Avete vanquito Vicenza”, rudimentale traduzione di “vanquish”, domare.