Luisa Beccaria è in Sicilia, dalla settimana prima del lockdown per tutti, è sposata con Don Lucio Bonaccorsi dei principi di Reburdone e il settecentesco feudo di famiglia, tra carrubi e mandorli in fiore, di Castelluccio, è da sempre il suo “isolamento” prima di disegnare una nuova collezione. Un largo auto/isolamento al quale è abituata. Da qui sarebbe dovuta partire per New York per presentare la sua ultima collezione. Gli abiti sono arrivati a destinazione, ma nessuno ha mai aperto gli scatoloni, non c’è stato il tempo, il corona virus aggrediva impietoso anche oltreoceano. Luisa ha creato vestiti da ballo per le principesse di mezza Europa, l’ultimo è stato quello per il royal wedding di Lady Gabriella Windsor, nipote della regina Elisabetta. Ha vestito lei e uno stuolo di paggetti e damigelle con nuvole di pizzo e tulle. Sono passati solo 10 mesi, sembra un’altra epoca.

Luisa e’ in contatto costante con la Camera della Moda: filiere bloccate, merce non consegnata, ma anche se lo fosse non si venderebbe, visto che i negozi sono chiusi, trunk shows programmati da tempo annullati, ricevimenti rinviati. I conti del made in Italy sono da profondo rosso, le consegne della prossima stagione già compromesse dallo stop alle attività produttive.

“C’è la proposta di congelare una stagione, quella colpita del corona virus, e riproporla l’anno prossimo, ma intanto guardare oltre, a quella invernale 2021/22”, spiega Beccaria. La sua è una maison divenuta cult, gestita a livello familiare, inconfondibile per il suo lifestyle, che ha resistito alle sirene di grandi gruppi, italiani e stranieri, presente lo squalo che mangia una rete di pesci, piccoli ma gustosi. “Adesso aspettiamo aiuti concreti dal governo, dalla Regione, perché il made in Italy, malgrado il corona virus, non sia costretto a svendersi e continui a detenere quel primato che si è conquistato negli anni -continua- Sono d’accordissimo con Armani. Io ho sempre puntato a una moda che duri più di una stagione in un armadio, meno usa e getta. I cinesi prima ci hanno portato a casa nostra la moda a basso costo, cheap e inquinante di materiali. Adesso il virus. Bisogna puntare su quello che sappiamo fare meglio, l’artigianalità, la sartorialità. Io ho sempre e solo prodotto in Italia. In questa corsa al consumismo, a vendere di più, a fare grandi numeri, e quindi a produrre fuori, avevamo perso un po’ della nostra identità. Per voler vedere il bicchiere mezzo pieno, questa è un’occasione per ritornare a una moda più essenziale, più speciale, come ha detto Anne Wintour, la direttrice icona di Vogue America. L’Italia, culla di bellezza, di arte, d’innovazione, mostrerà la via ”.

L’autunno sarà la primavera dei matrimoni. Parola e promessa di Antonio Riva. “Meglio rimandare per evitare l’imbarazzo che le distanze di sicurezza fra suocera e consuocera siano scambiate per un gesto di snobismo – ironizza Antonio – perfino il sospirato matrimonio fra Renzo e Lucia, di manzoniana memoria, si celebrò dopo la fine della peste, in spirito di rinascita”.

Antonio, laurea in architettura, progetta abiti da sposa come fossero sculture di taffetà, bustier che sembrano bassorilievi di tessuto e strascichi che si spalancano come vele di merletto. Il suo brand haute couture è, artigianalmente local, e global allo stesso tempo. Da Milano a Tokio, passando per la Corea del Sud ha vestito le spose più belle, celebrities e Michelle Hutzinker. Dietro ogni matrimonio si mette in moto una macchina organizzativa, wedding planner, inviti, cattering, addobbi floreali, musica, bomboniere, lista di nozze… L’ingranaggio adesso è fermo, aspetta solo di rimettersi in moto. Riva regala sogni e in questo momento il sogno è solo rimandato.

pagina Facebook di Januaria Piromallo

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