Lo sport che si è fermato è una delle mancanze più profonde di un’ampia fetta di persone. Sia per gli sportivi praticanti che per quelli che tifano e seguono gli eventi, in tv o dal vivo. Se per il tifoso, di calcio soprattutto, è una sensazione di abbandono simile a quella che si presentava solo in estate, per il mese e mezzo in cui i campionati si fermano, il praticante si vede recluso e privato della passione primordiale, allenarsi.
Per la gara della domenica, la partitella con gli amici, per limare i propri “record” o più semplicemente per non ingrassare e stare in salute. Per muoversi intendo dal triatleta a chi faceva un chilometro di passeggiata sulla spiaggia ogni giorno. Ciascuno ha perso quell’appuntamento salvifico con l’attività fisica che, si sa, è anche e forse soprattutto benessere psicologico.
L’equilibrio di alcuni si reggeva su essi, sui riti consolidati in anni di sana routine. Dall’allacciarsi le scarpe da corsa o il caschetto della bici, fare la borsa per la piscina o indossare la maglia della squadra del cuore per la partitella con gli amici. Ci mancano tutte queste cose quasi come gli stessi gesti atletici.
Il perché è connaturato nella nostra indole, facciamo sport, sudiamo, anche da soli per ore, ma per poter condividere, prima o poi, momenti ed emozioni con gli altri. L’uscita domenicale in bici in gruppo, la trasferta della squadra per la gara fuori porta, gli sfottò e le risate con gli amici del calcetto, la sfida a tennis col “rivale” di sempre, quella ingaggiata ogni volta col vicino di corsia in piscina.
E poi tutti mangiare la pizza, amici. Aprire il capitolo del tifo sarebbe parlare del motivo che muove il mondo dello sport, una passione incontenibile adesso contenuta per forza.
Se per i praticanti accaniti esistono surrogati, niente può sostituire il piacevole progredire di un campionato, il succedersi dei gran premi, degli eventi, della storia di ogni sport (vedi Mondiali e Olimpiadi). Repliche d’annata, dagli albori all’altro ieri, dirette con campioni che ricordano le edizioni precedenti della manifestazione appena saltata, illusioni e disquisizioni infinite non possono bastare, anzi talvolta acuiscono la sofferenza con la nostalgia.
Non parliamo poi delle sedute di training collettivo, o meglio, la modella di turno che istruita dal personal trainer fa i suoi esercizi davanti a qualche migliaio di interessati – agli esercizi, s’intende. Il ciclista (non professionista) che ti propina due ore di rulli con sottofondo musicale che disturba quei due o tre consigli “tecnici” che sente il dovere di trasmettere al “mondo”.
Gli atleti professionisti hanno scelto diverse strade, mantenere una forma decente e mostrarsi (anche per doveri di sponsor), mostrare una quotidianità diversa, mai avuta in questo periodo dell’anno e inevitabilmente pensare a cosa sarà della loro vita dopo.
Il loro ritmo compulsivo, in tempi normali, non consente di andare oltre, questo periodo avrà messo nella loro testa il pensiero sul quando smetteranno, anche se sono giovani. Utili e generose le aste di cimeli personali per raccogliere fondi, più utili ancora le donazioni dirette, divine quelle che non sappiamo e non sapremo mai.
Lo sport fermo è letteratura infinita, da recuperare soprattutto, perché sono tanti, troppi i titoli dei cantori dello sport e questo tempo, qualunque esso sia, non basterebbe per leggerli tutti. Difficile il mestiere del giornalista sportivo che, in assenza di eventi che avvengono, deve sopperire con l’abilità nel racconto, se ne ha, e con le notizie parallele: paure, speranze, riorganizzazioni, nuove date e nuove prospettive.
Lo sport come tutto il resto subirà la crisi, perché lo sport professionistico è business e soldi. Avrete capito che qualcosa cambierà, e sarà in peggio. Lo sport amatoriale, parente stretto di quello professionistico, sopravvivrà nello spirito ma nei modi chissà, perché le regole sugli assembramenti di persone potrebbero cambiare e cambiarci.
La prima partitella, la maratona preparata con scrupolo per mesi, l’uscita col gruppo di 40 ciclisti, la corsia della piscina che sembra una tonnara, etc. etc. le desideriamo come non mai ma sfido chiunque a non pensare se avrà la stessa fiducia nell’altro, nella condivisione, nella vicinanza finché questo maledetto virus non sarà vinto del tutto.
Nessun caso, nessun pericolo quindi tutto come prima? Non so, non ci scommetterei e non conviene visto che anche le scommesse (sportive) non se la passano un granché.
La mia scommessa di sopravvivenza psicofisica è legata allo sport, a un tapis roulant comprato una decina di anni fa, uno di quegli acquisti a cui avevo affibbiato il marchio di “inutile” perché a una corsa in garage preferisci sempre una all’aperto, o, nel mio caso, negli ultimi tempi, la scrivania o il divano.
Ebbene è tornato utile, io mi sono rimesso in moto, un miracolo che ha bisogno di stimolo quotidiano e speranza, quella di poter condividere la strada, non in una diretta social, non mi vedrete mai correre come un criceto in sovrappeso, vi voglio troppo bene e ve lo risparmio.
Ci si rivede e riabbraccia in giro, spero presto!