Esiste un colpevole della pandemia di coronavirus? Per alcuni alti ecclesiastici sì. Ed è la Cina. Ne ha parlato un confratello di Papa Francesco sulle colonne de L’Osservatore Romano. Il gesuita Gäel Giraud, economista, direttore di ricerche al Centre national de la recherche scientifique e autore del volume Transizione ecologica.

Per il religioso “la Cina cercherà di sfruttare questa crisi e il modo catastrofico in cui il governo Trump ha gestito la pandemia sul territorio americano, e questo per ottenere la leadership mondiale come hanno fatto gli Stati Uniti di Roosevelt nel 1945. Ma bisogna ricordare una cosa: la Cina è l’origine del problema perché non ha chiuso i suoi mercati della fauna selvatica a Wuhan e Pechino nonostante le ripetute richieste dell’Oms da diversi anni”.

Secondo il gesuita, infatti, “l’amministrazione cinese non ha trasmesso in modo trasparente le informazioni che alcuni medici di Wuhan possedevano, e questo ha prodotto gravi ritardi; il numero delle vittime a Wuhan è senza dubbio dieci volte superiore alle cifre ufficiali; oggi l’economia cinese è tornata attiva al 40 per cento. L’Italia ha dovuto acquistare le attrezzature mediche rese disponibili dalla Cina. Non è stata una donazione”.

Parole che rischiano di minare i rapporti diplomatici, già di per sé molto fragili, tra il Vaticano e Pechino, anche perché pubblicate sul quotidiano del Papa. Giornale la cui stampa è stata temporaneamente sospesa dai vertici del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede proprio a seguito della pandemia. Ma che Bergoglio vuole sia ripresa il più presto possibile.

A puntare il dito contro la Cina, all’interno della Chiesa cattolica, non è soltanto l’economista gesuita. Parole durissime sono arrivate anche dal cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, in Birmania, e presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia.

Per il porporato, infatti, “il regime del Partito comunista cinese è il primo responsabile” della pandemia di coronavirus. “Ciò che ha fatto e ciò che non ha fatto” sta producendo “danni alle vite in tutto il mondo” e “il popolo cinese è la prima vittima” del virus, come è anche la “prima vittima di questo regime repressivo”.

Accusando in modo diretto “l’uomo forte” di Pechino, il presidente Xi Jinping, il cardinale Bo ha sottolineato il modo in cui le autorità cinesi hanno silenziato dottori, giornalisti e intellettuali che lanciavano l’allarme già nel dicembre 2019, attendendo fino al 23 gennaio successivo per isolare Wuhan e l’Hubei.

Citando uno studio dell’università di Southampton, il porporato ha affermato che “se la Cina avesse agito in modo responsabile una, due o tre settimane prima il numero dei contagiati dal virus sarebbe stato minore”. Oltre alle accuse per aver provocato la pandemia e alle richieste di “scuse e pagamento dei danni per le distruzioni causate”, il porporato svolge anche un esame sulla “criminale negligenza e repressione” del regime comunista cinese.

Per il cardinale Bo, infatti, esso opprime la libertà religiosa, distrugge migliaia di chiese, rinchiude in campi di lavoro forzato i musulmani, pratica espianto di organi dai prigionieri di coscienza, sopprime le libertà di avvocati, dissidenti e intellettuali.

Parole alle quali finora non c’è stata nessuna presa di posizione di segno opposto da parte della Segreteria di Stato vaticana. Ciò sarebbe, invece, necessario per non compromettere ulteriormente il cammino di dialogo fin qui intrapreso, non senza serie difficoltà, tra la Santa Sede e Pechino.

L’ultimo tassello importante in questa direzione, poco prima della pandemia di coronavirus, è stato l’incontro bilaterale tra i ministri degli esteri del Vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, e della Cina, Wang Yi.“Nel corso del colloquio, – ha precisato una nota della Santa Sede – svoltosi in un clima cordiale, sono stati evocati i contatti fra le due parti, sviluppatisi positivamente nel tempo.

In particolare, si è evidenziata l’importanza dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, firmato il 22 settembre 2018, rinnovando altresì la volontà di proseguire il dialogo istituzionale a livello bilaterale per favorire la vita della Chiesa cattolica e il bene del popolo cinese”. E di certo le dichiarazioni di padre Giraud e del cardinale Bo non vanno in questa direzione.

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