“Le prime tre settimane sono state molto difficili: il mio paese, Orzinuovi, è stato flagellato. Adesso va un po’ meglio, ma è dura…”. La voce di Cesare Prandelli è strozzata dall’emozione: l’ex allenatore di Parma, Fiorentina e della Nazionale di calcio è il più celebre cittadino di Orzinuovi, il piccolo paese della Bassa Bresciana tra i più colpiti dal coronavirus, con quasi 200 casi e 50 vittime su 12mila abitanti. Lì il focolaio è scoppiato casualmente, portato con una “partita” di fieno e potrebbe essersi esteso a macchia d’olio dopo una banale partita di bocce in paese. Una casualità devastante: “Quando Lodi era diventata zona rossa, noi abbiamo avuto i primi casi e da lì è stata una escalation senza fine – racconta Prandelli a ilfattoquotidiano.it – è stato un dolore immenso: ho perso molti amici e, dramma nel dramma, i loro familiari non hanno nemmeno potuto piangere i propri morti con un funerale. Due amici non ci sono più e tutt’ora non sappiamo dove si trovino”. Per questo, parlare oggi di calcio e di riprendere il campionato “ha poco senso”: “Come si fa a passare dall’ospedale, al cimitero allo stadio? – dice l’ex ct della Nazionale – ci vuole molta cautela”.
Prandelli risponde dalla sua casa in Oltrarno, a Firenze, dove abita da anni con la compagna Novella e il figlio ma tutti i suoi affetti sono rimasti a Orzinuovi: la madre, i figli, le sorelle e i cugini. Così, vivere da lontano le sofferenze del suo paese è stata ancora più dura: “Le prime settimane sono state molto difficili perché ero in grande apprensione per i miei familiari e i miei amici – continua l’ex allenatore della Fiorentina – anche perché non si capiva cosa stesse succedendo. Molti amici di Orzinuovi, Alzano e Nembro mi dicevano ‘adesso si deve chiudere’ ma poi la zona rossa non è mai stata fatta”.
Qualche errore è stato fatto, insomma: “Non sta a me giudicare ma un po’ di confusione c’è stata sicuramente – dice Prandelli – eppure i miei concittadini mi raccontavano che Orzinuovi era un inferno: ambulanze su ambulanze, le bare portate via, tanta sofferenza. Avevamo un bellissimo ospedale ma da vent’anni non esiste più: in Lombardia i presidi territoriali sono stati eliminati. Nella nostra regione, il problema è stato questo e dovremo impararlo per il futuro”. Eppure il quadro non è tutto nero, Prandelli vede anche la luce in fondo al tunnel: “Noi lombardi abbiamo una grande dignità e forza d’animo, anche se siamo chiusi in casa, stiamo già pensando a come sarà il futuro di Orzinuovi, della nostra regione e di tutto il Paese: ci rialzeremo presto. Io, appena potrò, tornerò a casa per riabbracciare mia madre e il mio nipotino che è nato solo dieci giorni fa”.
Nel frattempo le giornate di Prandelli sono scandite da un ritmo insolitamente lento. Esce solo per portare fuori il suo Jack Russell e ha riscoperto una passione che lo distrae dal pensiero del suo paese: “Poco prima che iniziasse tutto questo ho comprato 300 piccole piante di ulivo e da lì ho iniziato a curarle sulle colline di Firenze – racconta – ogni giorno vado lì, do loro da bere e curo molto altro nella mia casa in campagna. Lascio a casa il telefono così riesco a isolarmi: trovo le chiamate solo al mio ritorno, sperando che non ci siano brutte notizie”. Quando passeggia vicino casa, in centro a Firenze, in molti lo riconoscono (“Ma non li posso abbracciare purtroppo”) e a tutti loro Prandelli dedica una parola di speranza: “I giovani all’inizio hanno avuto qualche difficoltà ad accettare tutto questo ma adesso sono molto partecipi – continua l’ex ct – in città vedo ci sono molti volontari, tante persone che vogliono aiutare chi ha bisogno: nel quartiere c’è sempre chi può portare la spesa o i medicinali a chi non ce la fa. Firenze da questo punto di vista è sempre stata molto generosa, la si più criticare su tante cose, ma sull’aspetto della generosità non è seconda a nessuno”.
E poi c’è il calcio, che per Prandelli significa tutta la sua carriera (prima da giocatore e poi da allenatore) e la sua passione più grande. Anche se lui, in mezzo a tutta questa sofferenza, preferisce parlarne il meno possibile: “Le polemiche sugli stipendi sono ridicole con un’Italia che ha 600 morti al giorno e persone che non riescono ad arrivare a fine mese: i giocatori sono privilegiati e rinunciare a un mese o due di stipendio dovrebbe essere un gesto normale” dice l’allenatore di Orzinuovi. E il campionato può riprendere? “Al momento mi sembra complicato anche solo parlarne: come facciamo a riportare le persone allo stadio? – conclude Prandelli – non è mica necessario riprendere a giugno o a luglio: si può ricominciare a settembre e finire il campionato a ottobre. Il problema secondo molti è il mercato, ma in fondo chi se ne importa”.