Cultura

Luis Sepúlveda me l’ha ricordato ancora una volta: sono i libri a scegliere noi, non viceversa

Della celebre storia della gabbianella e del gatto ricordo bene l’edizione che avevamo in casa, verso la fine degli anni Novanta. La copertina era azzurra, con un rettangolo giallo contenente il titolo del libro: un gatto nero, in basso a destra, seguiva il volo del piccolo gabbiano che si librava, sul lato opposto, nella parte sinistra della composizione. In alto, al centro, il nome dell’autore: Luis Sepulveda.

Non saprei dire se quel libro fosse stato regalato a me, se appartenesse invece ai miei genitori o a mio fratello, fatto sta che quella copia finì tra le mie mani ed ebbe il potere di accompagnarmi nel delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza, come una persona cara in grado parlarti al momento giusto – molti testi hanno la virtù di guardarti in silenzio dalla libreria e farsi avanti, sporgendosi un po’ dal ripiano, soltanto a tempo debito. D’altra parte, per quanto continuiamo a illuderci del contrario, sono i libri a scegliere noi e non viceversa.

Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare è un racconto poetico sul potere dell’amicizia e della solidarietà, sull’importanza del coraggio, con un grande monito che compare alla fine del racconto. Una frase che per me, all’inizio dell’adolescenza, diventò un mantra. La ripetevo a me stessa, la scrivevo ostinatamente sulla mia Smemoranda e la scarabocchiavo sui diari delle mie rassegnate compagne del quarto ginnasio: “Vola solo chi osa farlo”.

Anche io, a 14 anni, probabilmente sentivo di dover cominciare a volare da sola, a muovermi in autonomia e a costruire una mia identità. E, forse, avevo bisogno di una storia (che grande potere hanno le narrazioni!) attraverso cui compiere il mio salto, il mio piccolo rito di passaggio.

Quella storia me l’ha regalata Luis Sepulveda che avrei scoperto, poi, quale autore di splendidi romanzi come Diario di un killer sentimentale o Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Uno scrittore di cui mi affascinava l’infanzia in compagnia del nonno anarchico andaluso fuggito in Sud America e di cui ammiravo l’impegno politico, le battaglie per i diritti dell’uomo e quelle per l’ambiente. La curiosità, lo sguardo aperto sul mondo, l’intelligenza.

Come è avvenuto per me, in compagnia dei suoi testi sono cresciute intere generazioni di lettrici e lettori.

Esistono scrittori – ma anche musicisti, artisti, filosofi – del nostro presente che per certe affinità o per imperscrutabili eventi legati alle nostre esistenze, non senza un po’ di presunzione, sentiamo familiari. Sarà il potere delle idee in grado di farci sentire meno soli al mondo, meno sbagliati, e che ci lega forse, in qualche modo, a questi autori come in una sorta di famiglia allargata.

L’ammirazione per la loro opera diventa sincero affetto, a volte persino amore. A loro insaputa (e, a volte, loro malgrado) li consideriamo nostri amici, fratelli, conoscenti, sicché quando uno di loro viene a mancare viviamo un autentico lutto, sentiamo in pieno il dolore e il dramma della perdita.

Luis Sepulveda è stato sicuramente uno di questi: una figura straordinaria per il suo trascorso di uomo e di scrittore, un autore in grado di incidere, con i suoi libri, nel vissuto dei suoi lettori al punto da procurare ricordi personali in chi, di persona, non l’ha mai incontrato. Un intellettuale cui dire grazie per tutto ciò che ci ha donato.