Vent’anni di “impunita deregulation” e di assenza della programmazione. Di più: un’intera governance “molto permeabile” a un sistema “di interferenze e di sollecitazioni” che ricordano “le vicende legate al cosiddetto sistema Montante”, cioè l’ex presidente di Confindustria Sicilia poi condannato a 14 anni. E ancora: “Acelte amministrative che, pur trovando radicamento e giustificazione nel regime emergenziale, hanno di fatto agevolato la penetrazione dell’impresa mafiosa“. Con questi termini la commissione Antimafia della Sicilia definisce l’intero sistema del ciclo dei rifiuti sull’isola. Un settore che negli anni ha regalato miliardi di euro a Cosa nostra, e di debiti alle casse pubbliche e sul quale si è focalizzato l’interesse della commissione presiduta da Claudio Fava.
“Il lavoro della Commissione ha confermato le preoccupazioni che hanno mosso questa indagine: la percezione di un intreccio di interessi privati e pubbliche compiacenze che in Sicilia ha reso spesso il sistema dei rifiuti subalterno a quegli interessi e a quelle compiacenze”, si legge nella relazione approvata dalla commissione. Trentuno sedute, decine di giornalisti, politici e investigatori auditi, atti d’intagine delle Direzioni distrettuali antimafia siciliane, per arrivare a scrivere 180 pagine di analisi che fotografano la grande e perpetua emergenza siciliana: quella dei rifiuti. Nella relazione di Fava c’è tutto: l’affare bloccato dei termovalorizzatori ai tempi di Totò Cuffaro, l’affermazione delle discariche private ai tempi di Raffaele Lombardo, la guerra di Confindustria a Nicolò Marino, con quest’ultimo poi fatto fuori dal governo di Rosario Crocetta.
“Anche mettendo da parte gli episodi più gravi e più clamorosi, in cui si è dimostrata in sede penale l’esistenza di pratiche corruttive alla base di alcune scelte amministrative, l’intera governance dei rifiuti si è mostrata, in questo primo ventennio del secolo, molto permeabile a un sistema di interferenze e di sollecitazioni che ricordano – per modalità e per il ricorrere talvolta degli stessi protagonisti – le vicende legate al cosiddetto sistema Montante“, è la riflessione messa nero su bianco da Fava.
Già nella sua premessa la relazione dell’Antimafia spiega come in Sicilia “la gestione del ciclo dei rifiuti rappresenta un terreno di storica interferenza tra interessi privati e pubblica amministrazione. Negli ultimi vent’anni funzione politica e ragione d’impresa si sono spesso incrociate lungo un piano inclinato che ha mescolato inerzie, inefficienze e corruttele. La governance regionale sul ciclo dei rifiuti è stata spesso ostaggio di un gruppo di imprenditori che hanno rallentato, anche per responsabilità di una politica compiacente, ogni progetto di riforma che puntasse a un’impiantistica pubblica, con la conseguenza che l’unico esito possibile dell’intero ciclo resta oggi il massiccio conferimento in discariche private”.
Ma nelle vicende ricostruite dall’Antimafia di Sicilia non mancano i servitori dello Stato con la schiena dritta: “Tutto ciò” è avvenuto “nonostante l’impegno con cui taluni assessori e più d’un dirigente hanno cercato di imprimere al ciclo dei rifiuti una giusta direzione di marcia e una limpidezza di pratiche amministrative, restando spesso isolati all’interno degli ingranaggi burocratici e delle scelte di indirizzo politico”. Quella del ciclo dei rifiuti siciliani è una storia di “vassallaggio a cui è stata costretta in questi anni la funzione amministrativa, con procedimenti sensibili di cui pochi o nessuno avevano contezza, dirigenti delegati solo ad apporre la loro ‘firmetta‘, giunte di governo spesso distratte o condizionate da presenze istituzionali esterne alla Regione. L’esito è stato quello d’aver conservato la centralità del conferimento in discarica come punto d’arrivo obbligato dell’intero ciclo, garantendo ai pochi proprietari delle poche piattaforme private altissimi margini di profitto”.
E poi, ovviamente, c’è la mafia. E qui la relazione della commissione cita le parole del Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi: “Si può ragionevolmente presumere una permanente deviazione delle funzioni pubbliche in favore di imprese private operanti nel settore di interesse”. “In altre parole – scrive Fava – una sorta di monopolio consentito, garantito e protetto dagli apparati amministrativi e politici a beneficio dei titolari delle grandi discariche private. Questa relazione intende comprendere e ricostruire attraverso quali patti indicibili, quali illecite interferenze, quali forzature amministrative e di governo sia stato possibile – nell’arco di questo primo ventennio del secolo – appaltare le decisioni strategiche su raccolta e smaltimento dei rifiuti ad un governo parallelo stabilmente presidiato da interessi privati e persino (in alcuni casi, non episodici) dalle ingerenze della criminalità mafiosa.
Era stato il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, a spiegare alla commissione parlamentare alcuni anni fa che “l’organizzazione mafiosa è incisivamente intervenuta per acquisire il controllo dell’intero ciclo economico dello smaltimento dei rifiuti urbani in tutta la Sicilia, ha progettato di intervenire sull’intero piano regionale di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti urbani, per plasmarlo secondo i propri interessi, predisponeva essa stessa i progetti e i piani, che poi venivano accettati a scatola chiusa dagli enti pubblici e fatti propri”. Per la commissione regionale “a favorire questa progressiva intronizzazione della mafia nel settore dei rifiuti ha concorso una serie di scelte amministrative che, pur trovando radicamento e giustificazione nel regime emergenziale, hanno di fatto agevolato la penetrazione dell’impresa mafisa”.