Quando Les Ferdinand entra in area il tabellone del St. James’ Park segna il minuto numero 93. È troppo defilato sulla sinistra per potersi rendere pericoloso, così i due difensori del Celtic devono lavorare di fantasia per buttarlo a terra. Alla fine decidono di sfiorarlo leggermente sulla schiena e di aspettare che si decida a tuffarsi. L’arbitro, il signor Mark Clattenburg, tira un sospiro di sollievo e indica il dischetto. È il finale che tutti desiderano. Tanto i giocatori del Newcastle quanto quelli del Celtic. In panchina Alan Shearer sorride e si toglie la felpa della tuta.
Poi entra in campo mentre cinquantamila voci si fondono in un unico, grande, ruggito. Alan Shearer infila la fascia da capitano al braccio e sistema il pallone sul gesso bianco. Poi prende la rincorsa e spiazza Marshall. È il gol del 3-2 per le gazze, è il gol più triste della sua carriera. Perché in quell’11 maggio 2006 si celebra il suo testimonial match, un modo educato per indicare il funerale sportivo di una divinità del calcio. In quella partita, nella sua partita, Shearer ha giocato appena 10 secondi. Giusto il tempo di battere il calcio di inizio prima di lasciare il posto a Chopra. Perché non c’era bisogno di quell’amichevole contro il Celtic per annunciare al mondo che Alan “Always Scoring” è ormai un ex giocatore. Perché Shearer lo era diventato di fatto un mese prima.
Il 17 aprile il Newcastle aveva vinto 1-4 in casa del Sunderland e il numero 9 aveva trasformato un calcio di rigore. Solo che poco dopo il ginocchio aveva fatto crack. E Shearer aveva terminato stagione e carriera con tre giornate di anticipo. Niente più gol, niente più corse sgraziate lungo in campo, niente più esultanze con il braccio alzato. Niente di niente. Solo giornate interminabili da trascorrere senza la cosa che gli riusciva meglio: far esplodere uno stadio intero. Alan Shearer su quel prato verde è diventato uno stereotipo in maglietta e calzoncini, l’incarnazione del perfetto centravanti made in UK. E ci è diventato a forza di gol. Sono 260 solo in campionato, un bottino che lo ha trasformato nel miglior marcatore di sempre della Premier League. Sono 206 solo con la maglia del Newcastle, un bottino che lo ha trasformato nel miglior cannoniere di sempre dei magpies.
Niente male per un ragazzino che a 15 anni era stato scartato proprio dai bianconeri. Perché a quel provino si erano presentati troppi attaccanti. Così a Shearer era stato detto di mettersi in porta. Alan saluta e si trasferisce a Southampton. Dalle rive del Tyne alle foci del fiume Test. Nel 1988, a 18 anni, esordisce contro il Chelsea. Giusto una manciata di minuti prima di ritornare nell’ombra. Ci resta 2 settimane. Prima della sfida contro l’Arsenal si fa male il centravanti titolare, Paul Rideout. Tocca al giovane Shearer. Alan ringrazia e segna tre gol. È in quel giorno che inizia a gonfiare una rete dopo l’altra, a scrivere la storia del calcio inglese. A forza di gol, ma anche di rifiuti. Nel 1991 Jack Walker decide di vendere le sue acciaierie per circa 330 milioni di sterline. Ora ha le risorse necessarie per dedicarsi a un altro progetto, forse più complesso: trasformare in un club vincente la squadra per cui tifava da bambino. Quella squadra è il Blackburn Rovers e l’ultima volta che ha vinto il campionato è stata nel 1914.
Walker assume Kenny Dalglish e gli consegna un blocchetto degli assegni piuttosto pingue. Nell’estate del 1992 l’allenatore scozzese decide di puntare tutto su Alan Shearer. Su di lui, però, c’è anche il Manchester United. Sir Alex Ferguson alza il telefono e chiama il ragazzo. “Non abbiamo parlato molto – scrive l’attaccante nella sua biografia – l’ho trovato un grande lavoratore ma un po’ burbero”. Ferguson pensa che siano sufficienti una telefonata e il blasone del club per convincere l’attaccante. Dalglish, invece, ha un piano molto più preciso. Si vede con l’attaccante all’Haydock Park Hotel, sulla M6. Mentre le loro mogli si concedono un’uscita a Southport, Dalglish chiede a Shearer di suo padre Alan Senior, della sua famiglia, delle sue ambizioni. Lo scozzese parla ma, soprattutto, ascolta. E lo guarda negli occhi. È fatta.
Al resto ci pensa un contratto di 4 anni da 10mila sterline a settimana. L’affare si chiude per 3,3 milioni di sterline e diventa il trasferimento più costoso del calcio britannico. “Ho rifiutato lo United perché non mi hanno neanche richiamato”, dirà Shearer qualche anno dopo. Il telefono, però, deve aver giocato un ruolo fondamentale nella carriera di Ferguson. A novembre Bill Fotherby chiama il Board dello United. Vuole portare Irwin al Leeds campione di Inghilterra. Ferguson risponde che il terzino non è in vendita. Poi passa al contrattacco. Dopo aver ottenuto un due di picche per Lee Chapman, pronuncia quattro parole che cambieranno la Premier League.
“Cantona è in vendita?”. Il Leeds chiede un milione e mezzo. Si chiude a 1,3. “Ci sentiamo entro 24 ore – dice Fotherby – non devo certo essere io a spiegarvi quanto possa essere volubile quell’uomo“. In quel momento è nata una delle rivalità più belle del calcio di Sua Maestà. Shearer segna 47 gol in 2 anni, ma nel 1993 e nel 1994 sono i Red Devils ad aggiudicarsi il titolo. Nell’estate dei Mondiali americani, però, il Blackburn preleva Chris Sutton dal Norwich. Costo: 5 milioni di sterline. Un altro record. La prima partita non è delle più incoraggianti.
Il Blackburn pareggia 1-1 in casa del Southampton. Shearer segna ma si fa parare un rigore da Grobbelaar. Non si ripeterà più. La svolta arriva dopo il giro di Boa. Il 22 gennaio lo United batte il Blackburn grazie a un gol di Cantona (Shearer pareggia di testa ma il gol è annullato) e si porta a -3 dalla banda Dalglish. Tre giorni più tardi proprio Cantona si fa squalificare per 8 mesi per un calcio stile kung fu a un tifoso del Crystal Palace. I Rovers allungano ma a 90’ dalla fine hanno solo 2 punti di vantaggio sui Red Devils (che hanno una migliore differenza reti). Il Blakburn perde 2-1 col Liverpool, lo United non va oltre il pareggio col West Ham. Shearer, che ha segnato 34 gol in campionato, può alzare al cielo l’unico trofeo della sua carriera.